E’ attivo da ieri a Lampedusa il primo dei cinque hotspot previsti nel nostro paese: i centri all’interno dei quali viene operata l’identificazione e lo smistamento dei migranti e dei richiedenti asilo che arrivano in Italia. A confermarlo a Redattore sociale è Angelo Malandrino, il vice capo dipartimento Libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno, a margine della presentazione oggi a Roma del Rapporto sulla protezione in Italia 2015.
“Il centro per ora è attivo in via sperimentale – spiega Malandrino – da ieri sono circa 250 le persone identificate, in prevalenza eritiree. Dopo l’identificazione le persone vengono trasferite nei centri di accoglienza”. Per ora si tratta dunque solo di una sperimentazione, per ufficializzare l’apertura si sta aspettando l’esito dei due vertici previsti per oggi e domani a Bruxelles, durante i quali si dovrà decidere sul ricollocamento di 120 mila profughi. Come ribadito più volte dal ministro Alfano e dal prefetto Morcone, infatti, prima di aprire i cinque hotspot sul nostro territorio, l’Italia vuole essere sicura delle quote di rifugiati e richiedenti asilo che verranno trasferiti dal nostro paese agli altri Stati dell’Unione.
Nell’attesa, però, a Lampedusa si è già iniziato a lavorare. A operare all’interno del centro c’è solo personale italiano, di prefettura e polizia, insieme a un rappresentante dell’Unhcr che monitora sul rispetto dei diritti. Il personale europeo di Easo e Europol, pur presente sull’isola, non ha ancora ricevuto l’autorizzazione a operare. “La procedura – spiega Malandrino – per ora non ha incontrato intoppi, nessuno si è rifiutato di farsi identificare. Questo è un punto non semplice, perché sappiamo che molti vogliono andare via dall’Italia. Una volta che arrivano in Germania si fanno prendere le impronte volentieri perché è lì che vogliono arrivare, da noi la situazione è più complessa. Noi abbiamo l’esigenza di coniugare umanità e rigore. Ma per ora li stiamo rassicurando, e nessuno ha fatto opposizione”. I migranti sono stati trattenuti solo un giorno a fronte delle 48 ore previste: “avevamo preventivato al massimo quattro giorni ma in realtà non ce n’è stato bisogno”.