Migranti / Operazione colomba: no alla guerra per educare alla pace

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Si è tenuto martedì 19 Marzo nell’aula magna “G. Bianca” del Liceo Scientifico “Archimede” di Acireale il progetto P.T.O.F. “educazione alla mondialità e alla pace”, contro ogni forma di discriminazione verso i migranti e di rifiuto alla guerra. L’incontro è stato rivolto alle classi quinte dell’istituto ma anche a tutti coloro che si sono dimostrati sensibili alla tematica. Ad organizzare l’incontro dal titolo “Cosa sono i corridoi umanitari? Una storia dalla Siria all’Italia”, che ha visto il supporto di alcuni uffici diocesani tra cui la pastorale giovanile e l’ufficio Caritas, la professoressa Paola Lizzio.

A curare il dialogo con i presenti la dottoressa Michela Lovato, coordinatrice del progetto Santa Venerina abbraccia la Siria” e volontaria nei corpi nonviolenti di pace. Con lei la famiglia che è stata accolta grazie ai corridoi umanitari e che ha, per l’occasione, raccontato la propria storia. Loro hanno posto l’accento sul ruolo fondamentale che ha  “Operazione Colomba” nell’aprire la possibilità di una vita migliore a coloro che dalla propria terra sono costretti alla fuga.

“Operazione Colomba” / la missione umanitaria

Nel 1992 imperversa la guerra nei territori dell’ex-Jugoslavia. Le condizioni di vita sono veramente pesanti e non poche sono le famiglie che si vedono portare via tutto dai conflitti. In questo clima nasce il desiderio dei volontari e degli obiettori di coscienza che fanno parte  della comunità Papa Giovanni XXIII di aiutare chi soffre in questi territori martoriati. Non sono passati nemmeno 25 anni da quando Don Oreste Benzi ha fondato la sua comunità e già la natura stessa della sua creatura prende il sopravvento sugli eventi del mondo: la vita dei membri della comunità è legata alla condivisione diretta con chi è in difficoltà morale e sociale. Non è concesso chiudere gli occhi davanti alle ingiustizie, non è contemplato fingere di non vedere.

Nasce così “operazione colomba, il corpo civile non violento di pace, che da subito si impegna a risanare le ferite dell’odio e a costruire ponti di pace. A svolgere la missione due gruppi di volontari: quelli di lungo periodo, cioè coloro che danno da uno a più anni di disponibilità al servizio a tempo pieno, ed i volontari di breve periodo che possono mettere a disposizione solo alcuni mesi della loro vita.

“Operazione Colomba” / i pilastri della missione

I cardini della missione umanitaria sono tre:

  • la non violenza. L’associazione rifugge dalla violenza. La sua forza è nelle azioni di accompagnamento e mediazione nei conflitti, ma anche di denuncia e protezione fino ad arrivare, dove possibile, alla riconciliazione e alla risoluzione;
  • l’equivicinanza. Condividere la vita con le vittime permette di creare una solidarietà ed una fraternità vera. Si annullano in questo modo differenze di etnia, religione ma anche di appartenenza politica;
  • la partecipazione popolare. Il progetto è aperto a tutti coloro che lo desiderano, senza necessità che siano presenti particolari esperienze pregresse. Unico fattore immancabile in chi fa richiesta di adesione è vivere un cammino personale improntato sulla non violenza, sulla libera accettazione della proposta e la disponibilità alla vita e al lavoro di gruppo. E’ invece fondamentale la maggiore età e la partecipazione ad un corso di formazione specifico.

Ancora oggi gli operatori di pace insistono sui territori colpiti dai conflitti mondiali, condividendo con le vittime le condizioni di povertà, di emergenza e di paura. I rischi della guerra sono una certezza anche per le oltre 2.500 persone impegnate a sostegno delle missioni di pace come volontari. Sono loro che attraverso azioni concrete proteggono i civili indifesi e si fanno promotori di spazi aperti al dialogo e alla risoluzione dei conflitti. In Colombia, Libano e Palestina la presenza dei volontari è ancora oggi stabile e interviene nei conflitti armati e sociali più complessi. “Operazione Colomba” favorisce inoltre l’opportunità di lasciare il proprio paese ed accedere in Italia tramite i corridoi umanitari.

I corridoi umanitari / un futuro oltre la guerrapace guerra mondialità

Dovunque c’è guerra c’è paura, per sé ma anche per i propri affetti. Per chi ha perso tutto restare nel proprio paese martoriato e grondante sangue non solo è psicologicamente devastante, ma è anche totalmente inumano date le condizioni di vita miserevoli. I corridoi umanitari sono la soluzione che molte associazioni offrono a coloro che vogliono lasciare il proprio paese alla ricerca di una speranza di vita migliore. Nascono così protocolli d’intesa tra vari istituti (comunità, federazioni, Conferenza Episcopale) e governo italiano.

Le associazioni coinvolte, che autofinanziano totalmente questi percorsi umanitari, inviano nei paesi interessati dal progetto dei volontari. Essi prendono contatti diretti con coloro che desiderano abbandonare la propria terra e sono sempre loro a trasmettere alle autorità consolari italiane la lista dei potenziali beneficiari. I nominativi dei migranti che dalla guerra vogliono scappare verso la pace finiscono in liste che vengono vagliate dal ministero dell’Interno. Questi, se risultano conformi, potranno avere i visti umanitari con validità territoriale limitata, dunque validi solo per i confini dello Stato Italiano. Accompagnati in Italia in maniera legale e sicura, i profughi potranno presentare domanda di asilo. Il programma di trasferimento ed integrazione in Italia si rivolge a coloro che vivono in condizioni di vulnerabilità estrema: donne sole con bambini, vittime della tratta, anziani, disabili o persone con particolari problemi di salute.

Una storia di speranza / Il suono dell’accoglienza

I dati del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale rendono presente che a partire dall’inizio del 2015 grazie ai corridoi umanitari hanno ottenuto legale accesso in Italia circa 4.000 persone. I rifugiati provengono dal Libano, dall’Etiopia, dal Niger, dalla Giordania, dalla Libia, dal Pakistan e dall’Iran. La maggioranza degli arrivi in Italia sono quindi da parte di siriani, eritrei, somali, sudanesi e afghani.

In Libano i volontari vivono in una tenda nel campo di Tel Abbas, poco distante dalla Siria. Tra loro la dottoressa Lovato, che ha promosso il progetto “Santa Venerina abbraccia la Siria”. Grazie al suo impegno è stato possibile per una giovane coppia libanese, arrivata in Italia da qualche tempo e indicata come famiglia vulnerabile, ricominciare la loro vita nel territorio etneo. In questa occasione accompagnare la famiglia, mediando le tensioni con esercito e polizia libanese, è stato fondamentale. “Bisogna camminare insieme verso la cura delle ferite della guerra” – ha dichiarato la dottoressa Lovato, prima di passare la parola alla coppia di rifugiati che ha portato la propria testimonianza.

Dalla Siria all’Italia / La testimonianza pace guerra mondialità

Dalla quotidianità della pace a diventare migranti che dalla guerra fuggono: sconforto e paura nella testimonianza della giovane coppia. “Quando sei in guerra il futuro smette di esistere. Tu stesso smetti di esistere. La prigionia, le torture, i documenti sequestrati: non esisti più”. Con queste parole il trentenne siriano racconta la sua vita nel paese natale dilaniato dai conflitti armati. Eppure la sua vita ha avuto un decorso normale, fatto da anni di studio che lo portano alla laurea e ad un lavoro che ama. Una vita inizialmente comune, senza nessun presupposto di fuga. Tutto cambia quando scocca la scintilla della guerra e ogni prospettiva di vita viene stravolta.

L’uomo decide di non imbracciare le armi e sceglie di lasciare il suo paese, ma questo lo rende un oppositore politico e lo condanna a sette mesi di prigionia e violenze. Riesce a fuggire ai suoi carcerieri ma non migliora al sua vita, soprattutto arrivato in Libano. E’ comunque in Libano che conosce la sua futura moglie, anche lei vittima della violenza della guerra che le strappa il padre, ucciso davanti ai suoi occhi. In questa nuova terra le cose non vanno bene comunque. In Libano non viene loro riconosciuto il diritto d’asilo e non gli vengono forniti nuovi documenti, persi nelle peripezie della fuga dalla Siria.

La vita della giovane coppia viene condotta per otto anni nel nascondimento e nel rischio che se scoperti siano arrestati o deportati nuovamente in Siria. Sfiniti e sconfortati, soprattutto per il futuro incerto da dare ai propri figli, la scelta infausta di imbarcarsi verso l’Europa in maniera abusiva.

Tentare il tutto per tutto / la testimonianza

Per i migranti guerra e pace si confondono nei ricordi, si mescola il pensiero che un attimo prima tutto sia perfetto e quello dopo è conflitto. Troppa la disperazione per trovare una soluzione diversa. Troppa la paura per i propri figli. “O moriamo o arriviamo, l’importante è non tornare in Libano” – racconta l’uomo. Affrontano allora il viaggio della speranza, ma la guardia costiera libanese blocca il barcone e li riporta sulla terra ferma. La speranza di un futuro vero scema immediatamente e di nuovo prende spazio la disperazione. Proprio quando non sembrano esserci altre opportunità arrivano invece gli operatori volontari. I membri di “Operazione colomba” fanno da ponte con la Comunità di Sant’Egidio e si adoperano affinché arrivi per loro il visto. Dalla Libia alla Sicilia il viaggio è breve, la speranza di una vita migliore diventa concreta, la speranza non è più un concetto astratto.

pace guerra mondialità Accoglienza e autonomia / obiettivi concreti nella speranza

Il compito dei volontari non finisce però nell’accoglienza, ma evolve ancora nella guida all’autonomia dei profughi. Due anni è il tempo che si danno affinché questo avvenga, senza far mancare sostegno in ogni aspetto: dall’inserimento nel contesto lavorativo e sociale all’insegnamento della lingua italiana. Non è un percorso chiaramente semplice. Sia per chi fruisce del servizio che per chi deve darlo offrire questo supporto decreta una lunga preparazione.

Attivare percorsi di sensibilizzazione e accoglienza è il primo passo da compiere una volta arrivati i permessi affinché si attivi il corridoio umanitario. Lavorare in rete diventa a questo punto fondamentale. Creare una sinergia profonda di aiuto e fiducia supporta pienamente il progetto e permette che tutto vada nel modo migliore. Educare alla mondialità, al senso di pace che contrasta la guerra e porta alla fuga milione di migranti non è solo un progetto scolastico. Accogliere la famiglia significa sì dare una casa, ma anche promuovere una maggiore conoscenza del territorio, aiutare nel percorso scolastico e dare corretta attenzione ai bisogni di chi abbandonando tutto prova a ricreare un presente in una terra che è per lui straniera. Il sostegno all’autonomia è fondamentale, come lo è avere persone pronte a farsi coinvolgere pienamente nell’obiettivo dell’accoglienza.

Da migranti che si allontano dalla guerra a uomini che respirano la pace il passo non è poi così breve, o così scontato, come una certa narrazione odierna ci ha fatto credere. A Santa Venerina il ricordo delle bombe è lontano, non fa più rumore. Gli aerei non sorvolano con rombi minacciosi il cielo, i carri armati non esistono. Il futuro è lontanissimo, più del recente passato. Ma il presente ha il colore del mare, che non è più una via di fuga ma un luogo accanto a cui passeggiare per ritrovare la serenità di una vita sicura.

Chiara Costanzo

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