Flavio Di Giacomo lavora per l’Organizzazione internazionale per le migrazioni: “È possibile che gli scafisti si celino tra chi è approdato in Italia”. E ancora: “Negli ultimi 15 giorni di dicembre sono arrivate in Italia oltre 3.500 persone. E fra il 2013 e il 2014 gli arrivi si sono moltiplicati per quattro, fino a sfiorare la quota di 170mila”. È la dimostrazione che non era “colpa” di Mare Nostrum.
“Le rotte migratorie e il traffico di esseri umani si stanno purtroppo differenziando e raffinando – per così dire – in base alla
‘domanda’ e alle situazioni geografiche. Gli arrivi dalla Turchia, ad esempio, non sono nuovi e almeno dall’autunno scorso questi flussi si stanno rafforzando, composti soprattutto da profughi in fuga dal conflitto siriano”. Flavio Di Giacomo lavora per l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, principale organismo intergovernativo in ambito migratorio. Fondata nel 1951, aderiscono all’Oim 156 Stati; il quartier generale è a Ginevra (Svizzera), mentre l’Ufficio di coordinamento per il Mediterraneo ha sede in via Nomentana a Roma. Di Giacomo sta seguendo da vicino quanto accade in questi giorni sulle coste italiane: le organizzazioni criminali, che vivono sulle spalle di chi fugge dalla guerra e dalla fame, inventano nuove strategie per portare migliaia di disperati verso gli approdi europei. I casi delle navi Ezadeen e Blue Sky hanno particolarmente colpito l’opinione pubblica.
I mass media delineano un’inedita strategia: gli scafisti e le organizzazioni che stanno alle spalle acquistano vecchi mercantili in disuso, ma in grado di navigare, li caricano di migranti e poi li abbandonano al largo delle coste italiane. Il genio criminale ha inventato una nuova modalità per fare soldi, ponendo a rischio la vita dei profughi e la sicurezza marittima?
“Questa è l’ipotesi che va per la maggiore, ma occorrono ancora delle conferme circa tale strategia, che riteniamo sia ancora da verificare. Anche perché è possibile che gli scafisti si celino tra chi è approdato in Italia. Una cosa è certa: dalle testimonianze che raccogliamo come Oim, i flussi provenienti dalla Turchia si stanno moltiplicando, e sono già più di dieci i casi di imbarcazioni giunte da quella rotta, le quali vanno ad aggiungersi a quelle provenienti dalla Libia e dal nord Africa”.
Quali indicazioni avete tratto dalle testimonianze che state raccogliendo?
“Ci sono soprattutto storie di grande sofferenza. Ad esempio abbiamo incontrato una famiglia di 15 persone, fuggite da Kobane in Siria; fra di loro c’erano bambini e anziani. Giunti in un campo profughi in Turchia, si sono poi imbarcati verso l’Europa pagando 4.500 dollari a testa per ogni adulto. Una cifra enorme, per poi essere caricati su natanti insicuri, senza alcuna dignità né certezza di arrivare a destinazione. C’è chi vende tutto ciò che ha per tentare questi viaggi”.
Ma l’Italia è la meta ultima di chi, rischiando la vita, si mette in mare?
“Possiamo dire – afferma il portavoce Oim – che l’Italia è quasi sempre considerata un Paese di transito, mentre la gran parte della gente spera di arrivare nel nord Europa. Dobbiamo poi ricordare che non si scappa solo via mare, ma anche via terra. Il fatto è che, soprattutto da quando è iniziato il conflitto in Siria, il vicino e piccolo Libano ha accolto un milione e 400mila profughi; numeri altrettanto enormi si registrano in Turchia e in Giordania. I migranti che approdano sulle coste europee sono, in fin dei conti, numeri piuttosto modesti…”.
Materialmente come cominciano questi viaggi via mare dalla Turchia?
“Dai racconti – che vanno sempre verificati – sappiamo che i profughi sono caricati in piccoli gruppi su modeste imbarcazioni o su pescherecci per raggiungere i mercantili al largo della terraferma. Poi si può attendere qualche ora o addirittura alcuni giorni. Quindi ci sono cinque o sei giorni di mare. Le condizioni del viaggio sono durissime”.
Di recente l’operazione Mare Nostrum ha lasciato il posto all’operazione Triton. Qual è la posizione dell’Oim a questo proposito?
“Noi abbiamo più volte sostenuto che Mare Nostrum avrebbe dovuto continuare a operare, avendo dimostrato capacità di salvare migliaia e migliaia di vite umane. E se qualcuno, come accaduto in Gran Bretagna, aveva accusato Mare Nostrum di attrarre migranti – proprio per la capacità di recuperare in mare e portare in salvo le carrette cariche di persone – ebbene è stato smentito. Mare Nostrum non c’è più, eppure gli arrivi si infittiscono, tanto dalla Turchia quanto dalla Libia, anche in queste settimane, in pieno inverno… Negli ultimi 15 giorni di dicembre sono arrivate in Italia oltre 3.500 persone. E fra il 2013 e il 2014 gli arrivi si sono moltiplicati per quattro, fino a sfiorare la quota di 170mila. Gran parte delle persone provengono ora da Siria ed Eritrea, quindi significa che si scappa dalla guerra o da regimi persecutori. In questo senso l’Europa nel suo insieme deve mobilitarsi e intervenire secondo il criterio di solidarietà”.
Come si può fare?
“Mettendo anzitutto attorno allo stesso tavolo i Paesi europei e quelli di origine e di transito dei flussi, studiando risposte alternative alla rischiosa fuga via mare. Predisponendo, per fare degli esempi, canali legali di entrata, aiutando i Paesi di prima accoglienza, distribuendo i profughi in altri Paesi che non si affacciano direttamente sul Mediterraneo”.
Intanto le acque attorno all’Europa continuano a essere un cimitero.
“Mare Nostrum aveva come primo obiettivo di salvare vite umane, invece Triton è nato, ufficialmente, per controllare le frontiere. È differente. E poi ci sono pochissimi mezzi e personale a disposizione rispetto a quanto dispiegato dalla Marina militare e dalla Guardia costiera italiane. Ci si dimentica spesso – credo sia giusto dirlo – che alle operazioni di salvataggio in mare partecipano anche tanti mercantili privati, che nel 2014 hanno tratto in salvo 41mila persone”.
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni è pessimista in questa fase?
“Diciamo che vediamo una situazione sempre più complessa, in evoluzione, con tante vite umane perse o a rischio. È dunque necessario intervenire con risorse e mezzi adeguati. Non c’è tempo da perdere”.
Gianni Borsa