Guardando al 2016 appena concluso, è ancora una volta, come nell’anno precedente, la cosiddetta “crisi dei rifugiati” che più di altre questioni ha dominato le dispute politiche dell’Unione europea. Rispetto all’anno precedente, risulta diminuito il numero di persone arrivate in Europa attraverso mari impetuosi e strade pericolose, spesso mortali. Questo è il risultato di una politica più o meno efficace, ma anche di misure di cui non si può affatto andare orgogliosi: muri e recinzioni sono stati eretti per bloccare il cammino dei rifugiati e dei richiedenti asilo.
Il massiccio movimento di immigrazione dal Medio Oriente e dall’Africa rappresenta per l’Europa una grande sfida che la impegnerà nel 2017 e per molti anni ancora. A causa della sua imponenza e complessità, non è del tutto corretto considerare questo processo, e le difficoltà correlate, come una “crisi dei rifugiati”. Abbiamo piuttosto a che fare con diversi problemi che si sovrappongono e si alimentano a vicenda. La crisi che ne è conseguita è diventata un test per l’Unione europea, per la sua coesione, il suo funzionamento, la sua determinazione. La sfida che l’Europa affronta ha diverse dimensioni: di politica interna, così come di politica estera, e non da ultimo sul piano etico.
L’umanità richiede ed esige assistenza, sostegno e vicinanza per le persone nel bisogno, nel pericolo. Resta però alla volontà dei singoli Paesi europei di accordarsi su come organizzare e finanziare l’accoglienza, la distribuzione, l’alloggio, l’assistenza e l’integrazione dei rifugiati e dei richiedenti asilo, il più possibile secondo criteri e norme comunitarie. Gli Stati aderenti all’Ue vogliono e sono in grado di adottare e applicare una politica comune d’immigrazione e norme comuni in materia di asilo con le relative procedure?
È evidente che anche le possibilità degli Stati membri economicamente forti e ricchi non sono illimitate, e che quindi l’Unione si deve proteggere da chi abusa della sua disponibilità ad aiutare, in particolare lo sfruttamento criminale organizzato. Questo avviene soprattutto nell’interesse delle persone che hanno bisogno di protezione e assistenza, ma troppo spesso sfruttate da bande che traggono il loro vantaggio dall’emergenza. Si pone quindi la domanda: vogliono e possono gli Stati membri proteggere insieme ed efficacemente le frontiere esterne dell’Unione europea e controllare efficacemente l’accesso ai loro territori? Anche nell’interesse della propria sicurezza interna, l’Unione ha bisogno di sapere chi è arrivato e chi si è fermato qui, soprattutto perché si è reso evidente che i pericoli del terrorismo importati sono reali.
Per una soluzione sostenibile ed efficace del problema, che nasce dal grande divario di ricchezza tra i Paesi poveri dell’Africa e dell’Asia e i Paesi ricchi d’Europa, è essenziale inoltre che l’Europa sia pronta a combattere a livello comunitario le cause della fuga di centinaia di migliaia di persone dalle loro case in modo da fare di tutto per vincere la fame, la sete, la povertà estrema nei Paesi colpiti attraverso investimenti adeguati e generosi e contemporaneamente risolvere i conflitti regionali attraverso l’impegno diplomatico e, se necessario, la presenza militare.
I responsabili delle istituzioni dell’Unione e dei governi degli Stati membri stanno cercando risposte a queste sfide e stanno anche facendo progressi, seppure con passo esitante e non ancora in misura sufficiente. A comprometterne il successo è il fatto che diversi Stati Ue rifiutano soluzioni che prevedono un’equa ripartizione degli oneri connessi con l’arrivo di un gran numero di persone provenienti da diverse nazioni, coi rispettivi background culturali, linguistici e tradizionali.
Così si è persa la fiducia reciproca, necessaria per garantire la coesione.
Poiché tra i valori dell’Unione c’è prima di tutto la solidarietà, valore fondamentale del processo d’integrazione europea e dei suoi obiettivi, occorre una unità politica o almeno la definizione di una unità di azione tra gli Stati membri. Senza la solidarietà tra gli Stati membri ci possono essere poca intesa e poca unità.
Il dubbio sulla perdurante validità di questo principio etico ostacola anche ogni iniziativa per lo sviluppo ulteriore dell’Unione europea, urgente per contrastarne il decadimento già pronosticato dagli scettici. Essi si riferiscono alla decisione britannica di lasciare l’Unione e alle evidenti debolezze del suo sistema politico, che si mostra anche nella difficoltà di far fronte in modo adeguato alle sfide connesse con il movimento dei rifugiati.
Gli Stati nazionali europei non potranno risolvere questa crisi complessa e multidimensionale in modo indipendente gli uni dagli altri. Pertanto, dovranno rafforzare l’Unione europea e le sue istituzioni, così da garantire un’azione comunitaria e ritrovare ancora una volta la fiducia gli uni negli altri.
Thomas Jansen