Sull’Etna le eruzioni laviche si sono susseguite da tempo immemorabile. Sulla lava pietrificata sono sorti insediamenti abitativi e gli abitatori della montagna hanno da sempre convissuto con il dramma latente del rischio imponderabile.
Cenere, lapilli, lava, tremori, boati, terremoti, costellavano la vita quotidiana degli abitatori della montagna dediti all’attività che assicurava loro la sopravvivenza e nei momenti drammatici ricorrevano alla divinità chiedendo aiuto, speranza, fiducia.
Lo scampato pericolo trovava nella “cona”, come venivano chiamate le edicole votive, il segno della gratitudine e il ricordo del dramma vissuto veniva così affidato ai posteri .Le “cone” dedicate al santo che veniva rappresentato diventavano oggetto di culto e quindi luogo sacro.
Non sappiamo se le lave che si sono sovrapposte o il decorso del tempo le abbiano risparmiate, di talune di esse se ne è persa la memoria se il caso non ne ha lasciato traccia o una fonte documentata non ne ha conservato il ricordo. Il paesaggio muta il suo aspetto, il luogo prima isolato viene inglobato nel territorio abitato dove le case, dapprima sparse, si moltiplicano dando luogo ad insediamenti abitativi che fanno sorgere i villaggi e i borghi.
E’ il caso di una “cona” dedicata all’ Immacolata eretta da tempo immemorabile dagli abitanti del piano Illeri nel quartiere di Rinazzo lungo la strada Milo -Linguaglossa in rigraziamento dello scampato pericolo “per essere stati liberati dalla lava dell’Etna che scese sul confine nord del quartiere”. Lo apprendiamo da appunti documentati risalenti agli anni ’30 conservati nell’archivio parrocchiale della chiesa di sant’Andrea a Milo, che riferiscono di una “cona antichissima raffigurante l’lmmacolta”. L’archivio conserva anche un documento del 18 febbraio 1898 contenente una supplica fatta dagli abitanti del quartiere Rinazzo al Prefetto di Catania con cui si fa riferimento ad “un altarello con l’inzegna dell’Immacolata”. La supplica era preordinata ad ottenere, per intercessione del Prefetto di Catania, la concessione da parte del Sindaco di Giarre di una parte di suolo pubblico per edificare una chiesa nello stesso luogo dove un tempo era sorta l’edicola votiva.
Milo a quel tempo era un borgo di Giarre e a quel Comune, quindi, i cittadini dovevano rivolgere le istanze. Il luogo dove era stata edificata la “cona”era sacro e tale rimaneva nel convincimento collettivo. Il sacerdote Concetto Fichera nel 1905 si fece promotore della raccolta di fondi e cominciò l’edificazione della chiesa nel quartiere di Rinazzo .
Il progetto fu affidatato all’ing. Pietro Grassi di Giarre e furono allestiti il prospetto e i muri laterali.
Poi i lavori si fermarono per mancanza di fondi. Occorreva incrementare la raccolta e gli anni passarono. La Grande Guerra avrà di certo inciso nella prosecuzione dell’ opera e si dovette aspettare sino al 1925 per la prosecuzione dei lavori. Due anni dopo la chiesa fu completata e il 4 settembre 1927 il sacerdote Concetto Fichera, divenuto nel frattempo arciprete di Milo, venne delegato dal vescovo Salvatore Bello a benedire la nuova chiesa e a celebrarvi la messa solenne. Era presente anche il vice parroco sac. Salvatore Buda. Durante la cerimonia fu ricordata l’antica edicola votiva dedicata all’Immacolata prima esistente sul luogo e che il tempo aveva reso “irriconoscibile”, e nella la nuova chiesa chiesta dagli abitanti di Rinazzo si svolsero le funzioni liturgiche. La chiesa sin dall’apertura al culto venne adibita a Calvario e ne prese il nome .
L’anno successivo il vescovo di Acireale, mons.Evasio Colli, concesse l’erezione delle stazioni della Via Crucis. Dall’anno 2000 vi si conserva un prezioso simulacro in cartapesta del Cristo Morto realizzato nell’800 da maestri artigiani catanesi che fu donato alla chiesa di Milo dalle monache benedettine del SS. Sacramento di Catania dopo il restauro dell’opera avvenuto nel 1996.
La chiesa del Calvario ha una indubbia valenza artistica e storico-etno -antropologica, la facciata in stile neoclassico è in pietra lavica e in pietra bianca tufacea. Due paraste mostrano eleganti scalalature che culminano nei capitelli con motivi floreali in stile liberty. Il motivo viene ripreso nell’archivolto che sormonta la porta d’ingresso, i simboli mariani sono rappresentati nel timpano. Il sacello è ad una sola navata e nell’abside è posta l’urna del Cristo Morto.
La chiesa del Calvario sorse su un terreno che scendeva nel piano in forte declino e la costruzione separò in due tronconi la via Acque del Vescovo quasi nella confluenza con la strada provinciale che porta a Fornazzo. Alla mancanza altimetrica, caratteristica simbolica dei Calvari, si è sopperito innalzando un basamento semicircolare e predisponendo tre gradini che danno ingresso alla chiesa. Il luogo prima isolato si era in parte popolato per l’estensione dell’abitato a nord di Milo. e la chiesa è stata posizionata a nord secondo l’orientamento voluto.
Le fonti non riferiscono la data in cui fu eretta l’antica edicola votiva e l’immagine dell’Immacolata che certo doveva contenerla appariva “irriconoscibile” come apprendiamo dai documenti.
E’ stato ipotizzato che “la lava dell’Etna che scese sul confine nord del quartiere” sia quella del 1689 , lava che interessò la contrada dello Scarbaglio lasciando ampi costoni che costeggiano la strada provinciale che porta a Fornazzo.
L’edicola dell’Immacolata con la figura resa irriconoscile dal decorso del tempo e dalle intemperie ci ricorda un’altare a parete dedicato a Sant’Agata elevato per avere essa liberato la città di Catania dalla lava che nel 1669 era giunta sulla strada Del Vallazzo, l’attuale via Del plebiscito . L’altare ancora si conserva nell’antico bassorilievo con l’immagine della Santa dipinta secondo la tecnica figurativa del tempo. Ancora il ricorso alla divinità, ancora il ringraziamento per essere stati liberati dal fuoco.
L’origine dei calvari risale al medievo ed è legata all’uso di allestire croci o piccoli monumenti sormontatati da croci in luoghi sacri o negli incroci di strade di campagna lungo la via di pellegrinaggio.
In Sicilia l’uso di costruire calvari risale al secolo XVII ad opera del gesuiti e l’istituzione pare si debba al padre Gaspare Paraninfo che ne istituì la devozione nelle terre di missione per venerare i misteri della Passione e l’immagine del SS. Crocifisso.
Ogni Calvario, che è unico in ogni paese, ha una sua peculiarità dovuta all’impianto urbanistico e al paesaggio che lo circonda. La crescita dell’abitato e l’inserimento viatico non ne hanno alterato l’ubicazione che rimane nel luogo sacro.
E’ la chiesa che promuove l’istituzione dei Calvari ma a Milo è stata la popolazione a chiedere il riconoscimento di un luogo sacralizzato dall’edicola votiva prima eretta perchè lì era stato operato un prodigio che il tempo non aveva fatto dimenticare e lì è stata edificata la chiesa.
La chiesa sin dalla sua edificazione è stata denominata chiesa del Calvario, forse per riprendere una tradizione che gli anziani del luogo hanno testimoniato. Racconta Salvatore Cutuli di Milo, vissuto nel secolo scorso, che nell’attuale via Madonna delle Grazie vi era un altarino alto due metri che si apriva in semicerchio con i lati che si allungavano ciascuno per circa due metri. L’altarino era stato disposto sul ciglio dell’avvallamento e prospettava sulla saia che era il lavatoio pubblico che si allungava sopra un imponente susseguirsi di archi in pietra lavica poi demoliti. L’altarino in cui spiccava la croce veniva chiamato Calvario ed era luogo di preghiera. Il tempo lo diroccò e venne demolito lasciando al suo posto una croce che venne murata su un basamento . Gli abitanti di Milo chiamaro la piazza antistante piazza della Croce finchè assunse la denominazione attuale.
Uno spaccato di vita cittadina vivificato dai ricordi.
Ora la chiesa del Calvario è inglobata nel contesto urbano. Nessuno parla più del piano Illeri o Llera che rimane una contrada storica, solo la lava resta testimone di un’evento drammatico.
Rosanna Marchese