Misterbianco / Girolamo Lo Verso e lo studio dell’identità mafiosa

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Venerdì 16 febbraio a Misterbianco presso la Fattoria Sociale “Orti del Mediterraneo“, Girolamo Lo Verso è intervenuto per parlare dell’identità mafiosa in occasione del ciclo di seminari dedicati all’antimafia sociale. Tema dell’incontro era conoscere la mafia “dal di dentro”, attraverso una lettura antropologica ed analitica.

Misterbianco / Girolamo Lo Verso: lo studio dell’identità mafiosa e il ricordo di Giovanni Falcone  

L’incontro ha dato anche la possibilità di parlare del libro “Quando Giovanni diventò Falcone” scritto sull’amico Giovanni Falcone, del quale restituisce un ritratto umano diverso da quello del magistrato-eroe a cui siamo abituati. Parto da dati affettivi, personali, io conoscevo Giovanni, che era un normale magistrato, una persona a cui piaceva il whisky, con mia polemica, che amava la moglie e con cui ovviamente litigava, come succede a tutti; era un grande lavoratore, si alzava alle 4 di mattina, faceva ginnastica e poi studiava diritto”.

Ed è proprio la memoria del magistrato ad aprire l’incontro: “Giovanni Falcone era un rivoluzionario. È stato rivoluzionario per il metodo con cui ha indagato il fenomeno della mafia: il suo metodo io l’ho definito in parte di tipo analitico, perché si basa su una capacità, quella di cercare di capire l’altro per quello che lui pensa di essere, non per quello che tu pensi che lui sia. […] Ma rivoluzionario, Falcone, lo è stato anche nella morte. Prima di lui, infatti, era comune dire ‘la mafia non esiste’, frase che sottintendeva una concezione della mafia alla pari di una qualsiasi organizzazione criminale”. A dimostrazione del contrario, Falcone ripeteva sempre: “Quando avremo ridotto la mafia ad una normale organizzazione criminale, avremo vinto”. 

Misterbianco / Prof. Girolamo Lo Verso: lo studio dell’identità mafiosa. La lente psicanalitica 

 Le ricerche sulle caratteristiche del soggetto mafioso sono iniziate 30 anni fa quando il suo lavoro sulla gruppo analisi soggettuale lo ha portato ad interessarsi allo studio dei clan mafiosi. I risultati degli studi hanno fatto emergere una distinzione fra ‘Ndrangheta e Cosa Nostra da un lato, e altri gruppi criminali come la Camorra o il clan dei Santa Monica dall’altro. I primi hanno una struttura quasi da Stato: “fanno politica, gestiscono l’economia e tendevano, oggi un po’ meno, a controllare il territorio. Si facevano pagare le tasse, cioè il pizzo, garantivano sicurezza come farebbero le forze di polizia. Dal mio punto di vista – afferma Lo Verso – costruivano un’identità”.

Il concetto di identità è stato il fil rouge dell’incontro. “Mafiosi si nasce e si diventa. Storicamente si diventava mafiosi solo se si proveniva, anche alla lontana, da famiglie di mafia. L’addestramento di un mafioso comincia cento anni prima che nasca”. La cerchia familiare assume il ruolo di struttura deputata a plasmare “un automa” che si identifica totalmente con Cosa Nostra, incapace di sviluppare un’identità individuale. Si nasce mafiosi, dunque, perché si è figli del mondo da cui si proviene: ciò che sono stati i nostri antenati è ciò che, seppur inconsciamente, continua ad influenzarci, e nel caso mafioso questo avviene scientificamente cioè in modo sistematico ed ineluttabile. 

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L’idea che si diventi mafiosi perché fragili è una lettura tanto comune quanto miope del fenomeno poiché nella realtà avviene esattamente il contrario. Un uomo è fragile perché mafioso. Se non si sviluppa una propria individualità, alla minima contraddizione la psiche va in pezzi. Non ho visto persone così distrutte come i collaboratori di giustizia. Queste persone venivano non solo minacciate ma anche tagliate fuori dall’unico mondo che conoscevano. Noi siamo abituati alla contraddizione, loro invece sono monolitici e per certi versi si può affermare che abbiano una mentalità premoderna, che ricorda le categorie medioevali”.  

Misterbianco / Girolamo Lo Verso: lo studio dell’identità mafiosa e il paradigma antropologico

Accanto all’apporto principale fornito dagli strumenti psicanalitici, è importante evidenziare il contributo delle scienze sociali, in particolare dell’antropologia. Finché consideriamo il mafioso come uomo con il suo inconscio e tutto ciò che è tipico della clinica psicologica, non riusciremo mai a comprenderlo veramente. “Nel corso del tempo abbiamo introdotto il collegamento con l’interno, tra la psicologia dell’inconscio e le categorie della famiglia allargata, tipiche dell’approccio antropologico. L’antropologia diventa uno strumento fondamentale quando non è concepita come generica cultura ma come qualcosa che sedimenta col tempo le abitudini, la psiche. È l’antropologia della vita quotidiana che riguarda la trasmissione dei valori. […]

La cultura mafiosa va distinta. Esiste la cultura mafiosa, quella che Sciascia definiva il sentire mafioso che in larga parte corrispondeva con la cultura siciliana” e la cultura mafiosa vera e propria. Grazie al paradigma antropologico siamo in grado di affermare, per esempio, che molte di quelle pratiche scorrette come l’abusivismo o le raccomandazioni non sono necessariamente comportamenti devianti di stampo realmete mafioso ma residui di modi di fare cristallizzatisi nel tempo. 

                                                                                               Tania Sambataro

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