Il presidente USA, Joe Biden, ha rivolto un’accusa pesantissima nei confronti di quello russo, Vladimir Putin: non un caso, né una gaffe dilettantistica. Nel clamore suscitato dalle fortissime parole di Biden, il quale ieri ha definito il suo omologo russo nientemeno che un “killer”, sembra risuonare un certo senso di giustizia. Come se qualcuno avesse finalmente ristabilito la verità o dato alle cose il loro vero nome. Eppure bisogna dirlo chiaramente: fino a quando non si adotterà lo stesso metro di giudizio per tutti, gli attacchi politici basati su ragioni morali rimarranno puramente strumentali. Legati agli equilibri geopolitici in corso e non a scelte valoriali. Le accuse di Biden a Putin non sono necessariamente false, ma sono subordinate a un disegno strategico.
Biden / Perché l’accusa a Putin non è una mossa avventata
Questo spiega perché il presidente turco, un esempio fra tanti, non sia oggetto dello stesso trattamento di quello russo, pur avendone maggiori motivi. Nemmeno Trump è stato mai definito dai suoi oppositori un assassino, neanche dopo il blitz contro il generale iraniano Soleimani e la sua scorta. In questo caso, più che la geopolitica c’entra la logica: meglio non usare contro un avversario interno un’arma retorica che, in futuro, potrebbe essere usata contro di te. Nessun leader di grandi potenze – se si escludono forse quelle europee, ma ci sarebbe un grosso capitolo da aprire in merito – può in coscienza ritenersi esente da simili accuse. Fin qui, l’ovvio. Ciò che è meno ovvio, almeno per coloro che in queste ore si stanno ostinando a osservare il dito, è la “Luna” delle ragioni di una mossa così avventata.
Biden / L’accusa “lunare” a Putin
Che appunto, potrebbe sembrare lunare. Ma non lo è. Biden è conosciuto per le sue gaffes, tuttavia per annoverare anche questa nell’elenco bisogna essere un po’ ingenui. Un giornalista non pone a caso una domanda del genere, nemmeno in America. E se la domanda è concordata, la risposta è premeditata. Perché? Potremmo riprendere certa stampa e fare illazioni sul figlio del presidente e i suoi affari ucraini, messi in pericolo dal completamento del Nord Stream 2. Oppure fidarci della versione ufficiale e credere davvero, anche qui ingenuamente, che un simile epiteto possa realmente essere stato usato da Biden in risposta a un’accusa (l’ennesima) di interferenza russa nelle elezioni presidenziali statunitensi. Ma la verità è molto più semplice. E attiene alla volontà di marcare il territorio europeo al fine di sottrarlo, per quanto possibile, alle crescenti sirene russe.
Marcare il territorio europeo
L’attacco arriva infatti nei giorni di massima confusione continentale, per via della precipitosa sospensione “precauzionale” del vaccino AstraZeneca. La prima ad approfittarne potrebbe essere la Russia. Il suo Sputnik V è cresciuto molto in termini reputazionali negli ultimi mesi, malgrado le sue somministrazioni nel proprio Paese d’origine siano ancora relativamente ridotte. Questo potrebbe essere il momento perfetto per colpire la concorrenza: oltre ad apparire sicuro, il vaccino russo è sicuramente più economico dei suoi rivali angloamericani. E forse promette anche una distribuzione meno problematica. Ma non di soli vaccini vive la geopolitica statunitense: nell’occhio del ciclone vi è anche il completamento del già citato Nord Stream 2 (il gasdotto che unisce la Germania alla Russia, bypassando l’Est Europa), per il quale Washington sembrava quasi aver esaurito gli strumenti di pressione contro Berlino.
L’eredità della Merkel e il ruolo della Cina
Puntare sui diritti umani può seriamente mettere in difficoltà le scelte di una Merkel a fine mandato. O almeno, Biden ci prova, vedremo con quanto successo. Infine, la Cina: gli Stati Uniti si rendono conto che l’avvicinamento tra Mosca e Pechino è più tattico che strutturale, quindi agiscono di conseguenza. La Casa Bianca non si preoccupa di ulteriori convergenze tra i due suoi nemici. Sa di poterli usare l’uno contro l’altro in qualsiasi momento (o quasi). La Russia non è mai riuscita a nascondere la sua naturale inclinazione verso occidente, né potrebbe realisticamente farlo data la sproporzione demografica ed economica del suo territorio (la cui ricchezza umana e industriale è, appunto, concentrata tutta al di qua degli Urali). Invertire la tendenza richiederà decenni: uno spazio di tempo in cui Washington ritiene di poter manovrare a suo piacimento contro i due suoi avversari. Convinta, forse non a torto, che tra di loro non saranno mai veramente alleati.
Pietro Figuera