Mons. Lorefice ad Acireale: Sebastiano e Pino Puglisi, figure esemplari di testimonianza cristiana, ieri e oggi

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A conclusione dei solenni festeggiamenti cittadini in onore del compatrono, caratterizzati quest’anno dalla riflessione sul tema “il martire ieri e oggi”, domenica 28 gennaio presso la Basilica di San Sebastiano ad Acireale si è tenuta una conferenza dal titolo “San Sebastiano e il beato padre Pino Puglisi”. A relazionare è stato mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, introdotto dal decano don Vittorio Rocca (negli anni ’80 suo compagno di studi e, successivamente, anche collega di insegnamento).

Il presule palermitano – che si è presentato come pellegrino, giunto per onorare Sebastiano – ha offerto ai numerosi fedeli presenti l’opportunità di riflettere su un aspetto fondamentale della vita cristiana, la testimonianza (da cui deriva etimologicamente il sostantivo “martire”). Il cristiano, infatti, è un testimone della morte e risurrezione del Signore Gesù Cristo. Come don Pino Puglisi, proclamato beato a Palermo il 25 maggio 2013.

Il 15 settembre 1993, giorno del suo compleanno, veniva ucciso da sicari della mafia. Da tre anni era parroco nel quartiere palermitano di Brancaccio. Il suo martirio si può capire solo alla luce dell’intera vicenda di vita. La figura di don Pino, infatti, non può essere ristretta nella definizione di “prete antimafia”. Egli è stato anzitutto un cristiano serio, che ha scelto seriamente di seguire Cristo. Formatosi come sacerdote ai tempi del concilio Vaticano II, studiando le costituzioni “Gaudium et Spes” e “Lumen gentium”, comprese che la fede cristiana deve essere capace di incarnarsi nel vissuto, nella vita concreta degli uomini, nella storia, combattendo le ingiustizie di uomini contro altri uomini: una proposta di Fede, questa, che ha scomodato i poteri forti, quelli che vogliono assoggettare gli uomini e manipolare la verità.

Grazie alla sua opera oggi Brancaccio ha una scuola media e un centro di aggregazione giovanile (“Padre nostro”, un titolo non casuale perché quel “Padre” si oppone al concetto mafioso di “padrino”). Con questo metodo don Puglisi ha fatto tremare la mafia: quelli che volevano intimidire hanno avuto paura di un vero cristiano ed educatore, perché il cristianesimo è una dimensione che abbraccia tutta la vita. Negli ultimi tempi don Pino era più preoccupato, perché si era reso conto che qualcuno si stava opponendo alla sua opera di sacerdote e tramava contro la sua vita, ma non aveva perso il sorriso di chi ha sempre il Signore nel cuore. “Me l’aspettavo” (le sue ultime parole, rivolte al killer) significa “Sono pronto”. Chi lo ha ucciso, per sua stessa ammissione, non può più dimenticare quello sguardo, lo sguardo di chi fino all’ultimo è stato educatore e testimone. Don Puglisi venne ucciso “in odium Fidei” perché nemico della mentalità mafiosa, che è intrinsecamente antievangelica. Questo è il martirio di don Pino: sapere testimoniare sempre il Cristo con grande Fede e grande amore per la Chiesa. Una testimonianza che ha toccato anche il cuore dei suoi uccisori. Anche i mafiosi, infatti, possono convertirsi se rinnegano quel modo di creare relazioni che è sempre fonte di oppressione.

“Che il Signore ci dia sempre più preti-educatori che siano testimoni audaci del Vangelo” ha concluso mons. Lorefice.

A seguire, si è registrato anche l’intervento di Maurizio Artale, presidente del centro “Padre Nostro” di Brancaccio, il quale ha ricordato come la morte di don Puglisi ha aperto la strada non solo nella società ma anche nella chiesa palermitana. “Don Puglisi stava accanto a chi soffriva. Costante era il suo impegno a favore della comunità, priva di acqua potabile, senza scuola media. Il suo è stato soprattutto un lavoro di sensibilizzazione delle coscienze. Egli si chiedeva: perché chiedere al mafioso ciò di cui si ha diritto?”. Don Puglisi ci lascia anche questa bella riflessione: “Se ognuno fa qualcosa, insieme potremo fare molto”.

Il luogo in cui avvenne l’omicidio del beato Puglisi è oggi meta di pellegrinaggi e la casa dove abitava (riaperta nel 2014 con i suoi cimeli), è stata visitata nel 2017 da oltre settecento pellegrini.

Guido Leonardi

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