Sarà inaugurata questa sera la mostra fotografica personale di Massimo Vittorio dal titolo “Mastri d’ascia di Aci Trezza – una storia vera” presso la Galleria FIAF LE GRU (Corso Vittorio Emanuele, 214) di Valverde CT. La mostra si potrà visitare fino al 27 marzo, tutti i mercoledì e i venerdì dalle ore 20 alle ore 22.
Dopo Aci Trezza e Roccalumera, la mostra “approda” a Valverde per continuare il racconto fotografico in cui l’autore entra dentro l’animo dei mastri d’ascia di Aci Trezza, attivi sul territorio da cinque generazioni. Un racconto intriso di passione, volontà, tenacia, speranza.
“Il progetto fotografico – dichiara l’autore – vuole rendere omaggio a chi, tra le tante difficoltà, non rinuncia, con dignità, a portare avanti una delle tradizioni che rende unica Aci Trezza nel mondo”.
Mastri d’ascia di Aci Trezza – una storia vera
E quando i denti della sega cominciano a mordere il legno sprigionandone i profumi, le essenze, gli umori della sua natura; quando il filo delle lame delle pialle accarezza la superficie facendone fiorire il truciolo lungo e asciutto; quando la punta del trapano inizia a modulare la penetrante armonia del suo canto, allora io ridivento bambino e torno, con la memoria alla mia infanzia dove nei laboratori dei mastri d’ascia cercavo legnetti per i miei giochi, “vampugghe” per i miei fuochi, segatura per asciugare quanto il mio stomaco rigettava. E il mastro d’ascia era lì, inconsapevole che tanto suo lavoro, tanta arte, alimentavano i miei sogni e la mia fantasia.
Bisogna tornare bambini per riprendere consapevolmente il senso profondo di un’arte, di una professione, di un mestiere dove bisognava essere dei maestri, ovvero persone esperte, capaci di riconoscere la forma adatta, l’uso e la collocazione di “quel” legno particolare all’interno di un’imbarcazione: perché di questo stiamo parlando, del costruttore di barche, di quei natanti che, da Noè in poi, hanno servito l’uomo che voleva condividere e comprendere il suo mare. La loro bravura consisteva nel sagomare e individuare adattandolo il ceppo di legno alla funzione dell’ingegneria di costruzione nautica e non c’era porto, dotato di una pur minima marineria, che non avesse i suoi mastri d’ascia capaci di gestire non solo la bontà del legno ma anche calafatarlo con l’antica pece di omerica memoria e rifinirlo di moderno coppale. Persino il regolamento per l’attuazione del Codice di navigazione all’art. 280 ne tratteggia da tempo la sua figura che rimane la stessa lungo tutte le coste di questo pianeta. Oggi, sempre meno, le barche sono confezionate col legno e i superstiti mastri d’ascia devono rifugiarsi nella tradizione, nella memoria, nel diporto amatoriale.
Ed ecco che il nostro fotografo, sfruttando la fiducia e l’amicizia che lo lega a questa professione e a chi continua a esercitarla, entra nell’antica officina e con il suo obiettivo cerca di penetrare il senso di un lavoro che sta scomparendo. Il suo strumento raccoglie in equilibrato bianco nero il rigore e la serietà del lavoro, il momento virtuoso quanto raffinato di chi sa padroneggiare il proprio strumento, colloca la propria visione all’interno di prospettive che valorizzano i volti e i protagonisti della vecchia arte. Poi, onestamente, ne raccoglie pure la modernità che avanza e che annota nella novità dello strumento come nelle immagini alle pareti. Allora, intelligentemente raccoglie un controcanto all’invasione dei tempi nuovi: è il momento di una pausa rilassante, una partita a carte come di una possibile sigaretta o una probabile bevuta. Lo sfruttamento perspicace della profondità di campo non gli impedisce di raccontare, teneramente, che la vecchia arte si è rifugiata in un cavalluccio a dondolo, forse in una culla.
E allora torna Geppetto, mastro Ciliegia, Pinocchio e tutti torniamo bambini.
Pippo Pappalardo