Musica e fede: padre Granieri e il rock’n’roll. Le vie infinite del Signore passano anche attraverso un impianto stereo. Quando era ragazzo, padre Massimo Granieri si limitava a partecipare alla messa festiva: furono i ‘riff’ ipnotici della chitarra e i colpi potenti della batteria che risuonavano dalle casse a dirigerlo sul cammino vocazionale.
“Nato a Leicester nel 1970 da genitori calabresi, sono cresciuto a latte e rock. Dalla mamma, fan di Beatles e Pink Floyd, ho saputo che bastava uno dei loro dischi per farmi smettere di dare calci nella pancia, durante la gestazione.
Che la musica avrebbe scandito la mia vita era prevedibile, ma ha fatto molto di più. Mi ha portato alla vita stessa, l’ha illuminata nella fede e le ha dato senso”. Spiega così il sacerdote passionista, parroco a Laurignano (nel Cosentino, 4 mila abitanti) e responsabile della formazione dei docenti di religione cattolica nell’arcidiocesi.
Padre Granieri è anche dj (“dall’età di 16 anni. Parlare di canzoni in radio mi ha aiutato a vincere la balbuzie”). E’ giornalista de L’Osservatore Romano e blogger. Ha raccontato la propria ricerca spirituale ne “Il rock’n’roll con tanta anima” (Edizione Claudiana) con la prefazione di Andrea Monda. Libro pubblicato due anni dopo “Il Vangelo secondo il rock” (firmato insieme a Luca Miele, per la stessa casa editrice).
Se dovesse descrivere in una parola, cosa rappresenta per lei la musica?
Un ponte tra me e le Sacre Scritture: un’infinità di brani racchiudono spunti profondi sulla religione. Al contrario di quanto si pensi.
Sfata il mito del “rock maledetto”, insomma.
Il bello e il brutto esistono ovunque, si sa: tutto dipende dall’approccio. L’insegnamento di san Paolo vale in qualsiasi àmbito: il male non è fuori di noi, è dentro di noi.
Ha dichiarato che la musica l’ha sempre accompagnata: qual è stato il motivo – nella doppia accezione di “ragione” e “melodia” – scatenante della sua tensione a Dio?
L’album Radio Ethiopia di Patti Smith. Meglio, la contro-copertina di una copia non ufficiale, acquistata in autogrill, che riportava la citazione di san Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia”.
Ritrovare la stessa frase in Easter, disco successivo della cantautrice americana, stimolò il mio interesse verso la Bibbia: rubai quella del mio parroco, cominciai a leggere l’apostolo delle genti e iniziai il percorso che ho compiuto fin qui.
Padre Granieri, ha intervistato Patti Smith nel 2019 a Taranto: che effetto le ha fatto conoscerla?
Nei giorni precedenti mi aveva assalito l’ansia. Per paura di una delusione, avevo persino sperato che l’appuntamento fosse cancellato: era il mio idolo e sul suo mito avevo costruito la mia vocazione. Se non avesse corrisposto alle mie aspettative?
Com’è andata?
È stato un incontro meraviglioso, in cui ci siamo scambiati varie considerazioni, dalla Bibbia alla vita ultraterrena. Le sue parole hanno migliorato la mia visione della morte. Se il dolore causato dalla scomparsa di una persona cara è difficile da sopportare, al tempo stesso ne mantiene vivo il ricordo.
Un altro artista che l’ha colpita per elevatezza d’animo?
Dopo Bob Dylan, pioniere e riferimento senza paragoni, credo che nessuno sia capace di parlare del divino come Nick Cave. Il disco meraviglioso Henry’s Dream contiene
Straight To You, la mia chiamata al sacerdozio trasformata in canzone. Lo considero quasi un mistico; anche lui mi ha avvicinato al Cristianesimo.
In che modo?
Quando mi arrabbiavo con il Padre Eterno, mi sentivo in colpa. Grazie ai suoi pezzi, ho imparato a non avere paura dei sentimenti contrastanti e sono giunto alla conclusione che questa reazione è umana e sana, perché innesca il processo di riconciliazione e rinnova la fede.
Tre album della sua collezione che consiglierebbe di ascoltare?
Radio Ethiopia e Henry’s Dream sono scontati. Dico uno qualsiasi Bruce Springsteen, uomo impregnato di cattolicità – lo afferma lui stesso nell’autobiografia – ha grande rispetto della fede e santo timore di Dio. Poi passo a Fabrizio De André, a mio avviso cristiano inconsapevole.
Anime salve è un capolavoro di spiritualità e mi rappacifica con il Creatore nei momenti bui. Non solo, lancia un messaggio profondo: bisogna guardare la realtà con i propri occhi e fidarsi dei propri giudizi. Infine Station To Station di David Bowie: considero la traccia Word On A Wing una vera preghiera, mentre il rimando alla Via Crucis nel titolo custodisce l’intero significato. A proposito di titolo, quello del mio libro cita un verso della sua straordinaria Starman.
Qual è l’opinione di un rocker come lei su rap, trap e hip-hop, i generi preferiti dai giovani?
Tutto il bene possibile, perché esprimono il loro linguaggio. Lo so per esperienza di zio: ho due nipoti adolescenti che conoscono i pezzi a memoria e me li spiegano. Nel nostro confronto continuo, si lasciano coinvolgere da me.
Per esempio?
Durante la pandemia abbiamo guardato il film Quadrophenia del 1979, tratto dall’album omonimo degli Who, e abbiamo approfondito il tema della perdita dell’adolescenza, a quell’epoca e oggi. È stato un esperimento: mi piacerebbe inserire laboratori di ascolto musicale nell’ora di religione a scuola e a Catechismo.
Crede nella funzione educativa ed etica della musica?
Moltissimo. La musica è la forma d’espressione più facile e diretta che utilizzano i ragazzi da sempre: dovremmo sfruttarla al meglio per sostenerli. E avvicinarli.
Si riferisce alla Chiesa?
Sì. A Messa gli studenti sono spariti, ormai abbiamo perso il contatto con due generazioni. Le canzoni hanno un potere aggregante enorme, abbattono le barriere, si presentano da sé e toccano l’anima senza bisogno d’aiuto. I giovani, invece, hanno un immenso bisogno d’aiuto: di avere accanto un interlocutore per arrivare a porsi le giuste domande. Anche su Dio.
Cristina Marinoni