A pochi giorni dal Natale riportiamo gli auguri di Don Marco Catalano, che ci invita a riflettere e a ricordare come il Natale sia una festa inclusiva, per tutti. Non solo un periodo di vacanza, ma una festa che ci rende protagonisti del sacrificio di un Dio che si è incarnato per noi e la nostra salvezza. Un atto d’amore che non pone barriere, ma che ci ricorda quanto, nella nostra umanità, siamo preziosi agli occhi del Padre.
Natale / Gli auguri di don Marco Catalano
Carissimo/a,
Alle porte delle festività natalizie desideriamo tutti porgere i nostri auguri. Non solo a parenti, amici e conoscenti, ma anche il postino, il fruttivendolo ed il cartolaio sono raggiunti dal nostro caloroso “buon Natale!”. Un augurio donato e ricambiato che ci gratifica e ci rasserena. Un augurio che dice gratuità ed attenzione per la persona, chiunque essa sia.
Non meraviglia allora l’incredulità prima, e lo sconcerto poi, di fronte alle linee guida interne emanate dalla Commissione Europea per favorire una «comunicazione inclusiva». In cui si chiedeva, tra l’altro, di escludere dal proprio linguaggio l’uso del termine Natale o l’uso di nomi propriamente cristiani quali ad es. Maria e Giovanni. Delle linee guida poi frettolosamente ritirate, ma che tradiscono l’incapacità di riconoscere come una vera inclusione si ottiene a partire dall’accoglienza di un’identità già data e non dalla trasformazione o negazione di tale identità. Se per accogliere dobbiamo prima uniformarci, allora viene calpestata la dignità della persona, non viene riconosciuta l’umanità della persona.
Gli Auguri di don Marco Catalano / Natale: non solo una festività
Ma, mi chiedo, il Natale, proprio quel Natale che secondo i ben pensanti dovrebbe essere considerato solo come “festività” o “periodo di vacanza”, in che senso rappresenterebbe una minaccia all’inclusione, in che senso potrebbe risultare offensivo per l’altro? Non sarà forse che questo Natale non lo si conosce proprio bene? Allora che significa augurarsi “buon Natale”? Che significa considerare quel Natale i cui protagonisti sono San Giuseppe, la Madonna, Gesù Bambino e tutti noi? E già, anche noi siamo protagonisti del Natale e forse – senza essere fraintesi – i maggiori protagonisti. Ma come? Non è Gesù colui che poniamo al centro del presepe? Il Natale non è la celebrazione della nascita di Gesù? Ed allora che c’entriamo noi? E che c’entra a maggior ragione colui che magari non crede?
Tutto ciò è molto vero, se non fosse che il Natale è la festa dell’incarnazione di Dio, un Dio che diventa uomo come noi, un Dio che assume la nostra umanità… una umanità che mi appartiene, una umanità che non è diversa dalla mia! Dio diventa uno di noi… uno di me!
Ecco il punto: la festa del Natale ci dice di un Dio che ci ama e poiché ci ama vuole mostrarsi e poiché ci ama incondizionatamente ci raggiunge lì dove siamo e come siamo, non ha paura di parlare il nostro stesso linguaggio e non ha paura di assumere la nostra carne!
Marco Catalano / Auguri di Natale per tutti
Ma ancora di più, non solo Dio non ha paura, ma ci libera dalla nostra paura. Ci libera da quella paura che spesso ci fa guardare con sospetto e diffidenza la mia umanità e l’umanità dell’altro. Un Dio che s’incarna ci ricorda che la nostra umanità è preziosa, che vale tanto, che non va barattata ed inquinata con le contraffazioni dell’egoismo, della violenza e della sfiducia. Un Dio che s’incarna, che rivolge il suo sguardo d’amore disarmato, tenero e colmo di speranze ci ricorda – qualora lo avessimo dimenticato – che siamo preziosi. Siamo preziosi agli occhi di Dio, un Dio che con la sua nascita ci dice: “come sei bello, come è bello che tu viva!”. Ancora prima di poter dire noi qualcosa di Dio e su Dio, è lui che ci dichiara la sua predilezione per noi, la predilezione dell’amato che non può stare senza colui che ama.
Il Natale è una festa di tutti e per tutti… è una festa rispettosa di tutti in cui Dio semplicemente si mostra e gioisce, non parla e ci guarda, non pone condizioni e non crea barriere. Tutti – pastori o magi – troviamo spazio e siamo accolti. Il Natale è una festa di tutti e per tutti che può essere compresa in alcuni aspetti anche all’interno di un orizzonte in cui la fede e la teologia non sono strettamente necessari. Anzi, questa fede e questa teologia potrebbero essere di troppo – un di più – qualora non fossero portatrici e promotrici di un’autentica umanità! E se fosse così, se ci fossero una fede ed una teologia che hanno smarrito il senso dell’umano, allora in quella fede ed in quella teologia non si potrebbe certamente celebrare il Natale. Forse si celebrerebbe un Natale ma non certo il Natale di Gesù!
Natale / Cosa ci dicono la Vergine e il Bambino
Che il Natale sia una festa di tutti e per tutti non è certo una scoperta che facciamo oggi. Prova ne è il modo di come Jean Paul Sartre, filosofo e scrittore tra i più illustri esponenti dell’ateismo del secolo scorso, si accosta al mistero del Natale nell’operetta teatrale “Bariona o il figlio del tuono”, opera scritta nel Natale del 1940 mentre era detenuto nel campo di prigionia tedesco di Treviri. Lasciamo a lui la parola, una parola che, meravigliata ed interrogata dalla tenerezza dell’umano, diventa racconto:
“La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! Ma in altri momenti, rimane interdetta e pensa: Dio è là e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita e che popolano di pensieri estranei.
Una dura prova per Maria
Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre poiché egli è Dio ed è oltre tutto ciò che lei può immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio. Ma penso che ci sono anche altri momenti, rapidi e difficili, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: ‘Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia’.
E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive. Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride”.
E con le parole di Sartre auguro a tutti voi una festa in cui senza vergogna alcuna – né del credente così come del non credente – possiamo ricordarci quanto è preziosa la nostra umanità e dirci con gioia un semplice, sincero e sereno “Buon Natale!”.
Don Marco Catalano