Per quanto riguarda la spesa pubblica, oltre alla mancanza di risorse è necessario valutare come sarà l’Italia dei prossimi decenni. Perché le politiche di welfare devono essere per forza lungimiranti. E il nostro sarà un Paese certamente meno ricco di oggi, con moltissimi ultrasessantenni e pochi giovani. Un Paese in cui l’istituto familiare appare sempre più in crisi, e che necessita di concentrare le poche risorse disponibili in quei servizi sociali che saranno ritenuti fondamentali anche domani.
Scopriremmo allora che il grande disastro lasciato in eredità dalle generazioni precedenti è stato la denatalità: pochi figli hanno scavato la demografia italiana; le confuse politiche sull’immigrazione – tra il permetterla e il combatterla senza mai “organizzarla” – hanno colmato qualche vuoto, ma rimane un Paese sempre più vecchio, sempre meno ricco, sempre più propenso e vendersi gli “ori di famiglia” per mantenere un decente tenore di vita. Dal 2008 ad oggi le famiglie italiane hanno perso qualcosa come 98 miliardi di euro di entrate: una decrescita poco felice.
Va da sé che lo Stato dovrà per forza di cose ripensare il quanto e il come della sua spesa. Avranno ancora senso certe spese militari? La tecnologia avrà un po’ sostituito l’uomo nel mantenimento della sicurezza pubblica? La burocrazia si sarà snellita grazie ad un’informatica sempre più evoluta? I livelli di poteri e di amministrazione si saranno ridotti? Oppure buona parte delle risorse dello Stato saranno impiegate in spese correnti – leggi: stipendi – per dare un reddito a milioni di persone altrimenti fuori dai circuiti lavorativi, a prescindere dalla necessità e dalla qualità del loro lavoro? Perché: o si tagliano i servizi, o si tagliano gli stipendi. O si chiudono gli ospedali, o si licenziano i medici. E, come capirete, questa logica non ha alcun senso: alla fine si pregiudica il servizio stesso.
Forse allora è arrivato il tempo che il welfare state si trasformi in qualcos’altro: in welfare society, dove è l’intera società – e non solo lo Stato – a farsi carico del bisogno, del servizio. Fattibile? È fattibilissimo, anzi le conseguenze positive sono tante e tali, che questa appare l’unica soluzione tra i due estremi: lo Stato che paga tutto a prescindere; lo Stato che sparisce completamente.Parleremo più diffusamente della welfare society in un successivo articolo, e di quella parola – sussidiarietà – che la innerva, dopo però aver affrontato lo scoglio più pericoloso: l’ideologia.
Forse l’ultimo “ismo” lasciatoci in eredità dal Novecento, e ancora vivo e vegeto, è lo statalismo. Anche il liberismo ha toccato in questi anni molti suoi limiti, e ci si è accorti che non è il paradiso in terra. Ma lo statalismo, quello no: permea ancora movimenti e partiti politici, sindacati e correnti di pensiero, macchina statale e scelte di spesa.
Il concetto è semplicissimo: deve fare tutto lo Stato. Scuola, sanità, assistenza, previdenza, sicurezza, sostegno al reddito, al lavoro, a tutto. Ci pensa lo Stato, con i soldi prelevati dai redditi e dai consumi dei cittadini (le tasse e i contributi). Se le spese aumentano, crescono pure le tasse. Se le spese aumentano troppo… casca l’asino. Anche la tassazione ha dei limiti fisiologici, pure nelle compassate e sguarnite società scandinave: ad un certo punto scappano via i cittadini ai quali lo Stato vuole garantire tutto dalla culla alla tomba.
Ma perché deve fare tutto lo Stato? Si dice: perché è suo dovere; perché ciò che fa è asettico, neutro, “laico”, il meglio. Perché garantisce tutti i diritti a tutti. Perché nel suo agire c’è buona educazione civica, buona pratica concreta, nessun ulteriore fine.
Questo nel mondo delle favole, quelle in cui navigano a vele spiegate gli “ismi”. La vita è un po’ differente, inutile ribadirlo, e la prova provata è la qualità dei servizi erogati dai privati per l’infanzia, la vecchiaia, la disabilità, la salute, l’istruzione e altro ancora. Troppo spesso migliori di quelli erogati dallo Stato.
Ma noi siamo il Paese che, invece di provare una via nuova e più efficace, invece di dare spazio alle sue energie migliori e meno costose, si ostina a girare in cerchio attorno alle sue difficoltà.
Un Paese dove ancora oggi si promuovono referendum contro le odiate scuole paritarie; dove si preferisce chiudere asili per far vincere il “principio”. Un’Italia dove lo Stato vuole continuare ad essere forte in una società debole. Anche se la cosa non funziona più.
Nicola Salvagnin
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