C’è un’autostrada del Sud, completata nel 1972, i cui lavori di ammodernamento sono iniziati negli anni Novanta e non sono ancora finiti. Attraversa 3 regioni – Campania, Basilicata e Calabria – per circa 500 chilometri. È una “grande opera”, per la quale, fino ad ora, si contano solo i morti. Per la sua realizzazione, dal 2010 ad oggi hanno perso la vita dodici operai. L’ultimo, un ragazzo di 25 anni, è morto lo scorso 2 marzo, precipitando da un’altezza di 80 metri, il viadotto “Italia”, all’altezza di Laino Borgo, in provincia di Cosenza. Ora, il tratto è chiuso, in attesa degli esiti dell’inchiesta.
Un’altra inchiesta, quella della Procura di Firenze, inserisce la “Salerno-Reggio Calabria” nell’elenco delle “grandi opere” oggetto di malversazioni e corruzione. Sembra che gli oltre 8 miliardi già finanziati per la sua realizzazione – ai quali se ne dovrebbero aggiungere almeno altri 2 per il completamento di ben 42 chilometri – abbiano sollecitato gli interessi di molti. Del resto, questa “grande opera” ebbe l’onore, tempo fa, di essere citata perfino dal “New York Times”, che scrisse: “nulla incarna i fallimenti dello Stato italiano più nettamente dell’autostrada da Salerno a Reggio Calabria”.
È il Sud – la parte del Paese più povera, depressa e ormai senza speranza – a pagare il prezzo più alto della corruzione, come dimostra anche la vicenda delle Ferrovie Sud-Est pugliesi, anch’essa oggetto dell’inchiesta di Firenze sulle “grandi opere”, che invece di garantire la necessaria dotazione infra-strutturale, sembra siano divenute un “bancomat” per soddisfare gli interessi di molti. È un Sud vessato dalla cattiva amministrazione – il Presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha detto che il 60,4% delle “spese irregolari” sono concentrate nelle regioni meridionali – e depredato dalla corruzione, rispetto alla quale sempre Squitieri ha dichiarato: “Il pericolo più serio per la collettività è una rassegnata assuefazione al malaffare”. Parole inequivocabili, che trovano conferma nel nome che la Procura di Firenze ha utilizzato per la sua inchiesta – l’ha chiamata “Operazione Sistema” – nell’ammontare economico degli affari illeciti, che avrebbero fruttato alle persone coinvolte dall’1 al 3% di 25 miliardi di euro (valore complessivo degli appalti e delle direzioni lavori) e del numero incredibile di appalti e subappalti. È quest’ultimo dato, in particolare, che connota il “sistema”, rendendolo metastasi della società cosiddetta civile, buona parte della quale non è affatto immune al malaffare.
I tempi sono molto cambiati da quando Pappagone, il personaggio televisivo degli anni ‘70 di Peppino De Filippo, diceva: “‘Sapete questa democrazia, che voi non capite, che cosa significa? Vuol dire che voi vi tenete la roba vostra e lasciate stare la mia. Se no, sono pasticci’. All’epoca, il grande attore napoletano si riferiva ad una serie di scandali – lunghissima – che hanno segnato l’intera storia democratica del nostro Paese. Non poteva immaginare, però, quel che sarebbe avvenuto negli anni successivi, stigmatizzato qualche giorno fa dalle parole del Presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco: “Il popolo degli onesti deve assolutamente reagire senza deprimersi, continuando a fare con onestà e competenza il proprio lavoro, ma anche protestando nei modi corretti contro questo ‘malesempio’ che sembra essere un regime”.
Roberto Rea