Non siamo spettatori o visitatori estranei, siamo proprio attori primari, ciascuno per proprio conto, nel segreto della propria coscienza, ma anche tutti insieme, indissolubilmente vocati a custodire tutti, nessuno escluso, proprio perché a nostra volta custoditi da quell’orrendo segno di tortura e di morte, diventato simbolo di salvezza, portatore di una luce che frange ogni tenebra e la dissipa per sempre.
Custodire. Un grande enigma per la persona, viandante nella storia. Immediatamente e spontaneamente il pensiero va ad una presa, a qualche cosa che, in un modo o nell’altro, è preziosa e va tenuta attentamente fuori dalla portata altrui, magari ben nascosta perché non si sa mai… nel caso tornasse gradita, dovrebbe essere condivisa.
Lo sguardo della persona anche se non riesce a posarsi su di sé, inesorabilmente porta a crearsi delle zone di difesa, delle paratie che contengano l’invasione altrui.
Non ci rendiamo conto che così facendo diventiamo lo zimbello di noi stessi: ci mangiamo la coda e… soccombiamo.
Il grande verbo “custodire” che percorre tutto il Primo Testamento ha un altro sapore, un’altra fragranza ma sottende anche un altro impegno, un altro slancio.
L’Adam della Scrittura talvolta s’illude di custodire ma proprio nel fracasso, nel torbido degli eventi sfavorevoli, si ritrova, con stupore, dinanzi al Custode, al suo Creatore. Il pentimento, il ritorno, salda il Custode e la creatura e la rende, a sua volta, custode.
L’irruzione dell’Altissimo ha aperto un varco nella storia e nel tempo. Deve essere stato mosso da un amore immenso: ci ha lasciati liberi di accoglierLo o di rifiutarLo. Non era, per Lui, un futuribile, era una certezza: non l’avremmo accolto pienamente. Irruppe ugualmente e definitivamente.
Chissà se quel varco ha avuto, proprio fin dall’inizio, la forma della Croce?
“La Croce, vertice luminoso dell’amore di Dio che ci custodisce”, questa l’apertura della Via Crucis 2015.
Come faccia una croce ad essere vertice di luce che irraggia, è del tutto inconcepibile se non stolido.
Lo scarto che rovescia la constatazione, rivela la Croce non una croce.
Solo l’Uomo-Dio poteva trasfigurare lo strumento abbietto, segno di una mente demenziale e crudele, nel segno della salvezza universale.
Solo la luce dell’Amore, impossibile per la mente e il cuore della persona, può irradiarsi e contagiare, tanto da essere coinvolti in prima persona: “Chiamati ad essere anche noi custodi per amore”.
Da questa chiamata scatta il “cor ad cor loquitur”, il cuore parla al cuore, motto del vescovo Renato Corti, autore dell’inno crocifisso. Non esiste un dialogo obliquo, un discorrere indiretto. Il Custode bussa e interpella personalmente.
Non siamo spettatori o visitatori estranei, siamo proprio attori primari, ciascuno per proprio conto, nel segreto della propria coscienza, ma anche tutti insieme, indissolubilmente vocati a custodire tutti, nessuno escluso, proprio perché a nostra volta custoditi da quell’orrendo segno di tortura e di morte, diventato simbolo di salvezza, portatore di una luce che frange ogni tenebra e la dissipa per sempre.
Non è una postura romantica, ideale o idealizzata, in un qualche modo ritagliata su un’antica consuetudine sociale, ormai radicata e magari praticata per una sorta di scaramanzia o di amuleto contro la jella.
È la fede, resa robusta dall’Eucaristia: “Ancor più dei primi discepoli, siamo noi, o Gesù, ad essere fragili nella fede. Rischiamo pure di tradirti, mentre il tuo amore ci dovrebbe indurre a crescere nell’amore per Te”.
Una lama rovente che penetra ogni decisione umana, ogni evento che si incide sul rotolo della storia dei popoli, senza concedere spazio ad ingenuità: “Incommensurabile è poi la sofferenza di coloro che sono dentro ad avvenimenti crudeli, a parole di odio e falsità; o che incontrano cuori di pietra che provocano lacrime e conducono alla disperazione”.
Non c’è scampo: assistiamo a ingiustizie che dovrebbero scuoterci e invece ci lasciano non indifferenti ma, ben presto, con lo stato d’animo evaporato e pronto a satollarsi quando in milioni patiscono fame, ingiustizia, deportazione, schiavitù.
La Madre, Maria, ci custodisce e invita tutte le donne a lasciarsi custodire per diventare a loro volta donatrici liete: “Signore Gesù, l’annuncio della fede nel mondo e il cammino delle comunità cristiane sono molto sostenuti dalle donne. Conservale come testimoni di quella felicità che fiorisce dall’incontro con Te e che costituisce il segreto profondo della loro vita. Custodiscile come segno luminoso di maternità accanto agli ultimi che, nel loro cuore, diventano i primi”.
Gesù rivela il suo sentire profondo, ci lascia entrare nell’intimità “Mi fido di Dio. Non è spenta la mia speranza di madre. Fidatevi anche voi! Per voi tutti chiedo la grazia di una fede forte. Per coloro che attraversano giorni bui, la consolazione”.
Croce, Luce di fiducia.
Crocifisso inchiodato, mistero di misericordia.
Cristiana Dobner