Padre Efrem Tresoldi, direttore della rivista dei comboniani “Nigrizia”, ripercorre la figura del fondatore del moderno Sudafrica, “stimato da tutti: cristiani, induisti, musulmani”. E ancora: “Era un uomo di statura morale e politica ben al di sopra della media, che ha dato un’impronta fondata sui valori veri: la riconciliazione, la collaborazione di tutti, la libertà interiore.
“La sua vita è stata un lungo cammino verso la libertà”: così padre Efrem Tresoldi, direttore della rivista dei comboniani “Nigrizia”, ricorda Nelson Mandela, simbolo della lotta dell’Africa nera contro l’apartheid in Sudafrica, morto ieri a 95 anni. Padre Tresoldi ha vissuto vent’anni in Sudafrica come missionario e, per un lungo periodo ha rivestito il ruolo di portavoce della Conferenza episcopale dell’Africa meridionale, che riunisce Sudafrica, Botswana e Swaziland. Ha incontrato personalmente Mandela un paio di volte: nel settembre 1990 a Roma dopo la sua liberazione dal carcere e in Sudafrica nel 1998. “Sprigionava enorme vitalità – così lo racconta al Sir -. Mi ha colpito la sua forza morale e la sua attenzione alla persona. Nonostante abbia incontrato centinaia di migliaia di persone, dava all’interlocutore l’impressione di essere al centro e di volere una risposta da lui”.
Tante parole sono state dette su questo grande uomo. Cosa rimarrà nella storia?
“Rimarrà la sua umanità, il suo ruolo come attivista politico. È stato l’uomo del dialogo e della riconciliazione, che vede il potere come servizio e non come privilegio personale, tanto è vero che non si è ricandidato al secondo turno come presidente. Mandela ha garantito la transizione pacifica dal sistema politico violento dell’apartheid alla democrazia nel 1994. Era uno di quegli uomini che nascono raramente nella storia. Anche se Mandela stesso ha riconosciuto, in una lettera alla ex moglie, di non essere un santo, perché in fondo un santo è un peccatore che non smette mai di provare a migliorarsi. Era un uomo di statura morale e politica ben al di sopra della media, che ha dato un’impronta fondata sui valori veri: la riconciliazione, la collaborazione di tutti, la libertà interiore. Nonostante abbia subito persecuzioni e privazioni da parte della minoranza bianca non ha mai mostrato risentimento, che ha superato senz’altro con grande lavoro interiore”.
Il suo esempio continua ad avere un impatto fortissimo in tutto il mondo…
“Assolutamente sì. In lui si riconoscono uomini e donne in tutto il mondo che si battono per i diritti umani e la liberazione da ogni discriminazione e oppressione. È veramente un’icona universale dei diritti umani. Ha sempre detto che avrebbe continuato a battersi per un società ugualitaria e contro qualsiasi tipo di oppressione, nere o bianche, perché non avvenga mai più che un gruppo possa opprimere altre persone per ideologie o altro”.
Si sa qualcosa del suo rapporto con la fede?
“È andato a scuola dai metodisti ma non ha mai professato appartenenza a nessuna Chiesa, anche se ha mantenuto rapporti privilegiati con la Chiesa metodista. Penso che una persona che si impegna tutta la vita per gli altri vive senz’altro in Dio”.
Per il popolo sudafricano è una grossa perdita…
“Sì. In Sudafrica è stimato da tutti: cristiani, induisti, musulmani. Hanno sempre guardato a Mandela come esempio di impegno civile e umano che incarna i veri valori dell’umano. Pur essendo fuori dalla vita politica oramai da tre anni e non facendosi più vedere in pubblico dai Mondiali di calcio, c’è sempre stato l’alone della sua presenza forte. Lascerà un grande vuoto”.
Ci saranno cambiamenti a livello socio-politico?
“Non molti, ma credo che il partito dell’African National Congress, che finora ha vissuto di rendita sull’eredità di Mandela, ora dovrà mostrare la sua credibilità”.
Anche se non trapela molto della sua vita privata, come pensa abbia affrontato umanamente questo lungo periodo di sofferenza e malattia?
“Non se ne sa molto perché i familiari hanno fatto un po’ da scudo protettivo per dargli la possibilità di vivere serenamente l’ultimo periodo della sua vita. Una fase caratterizzata, dopo l’ultimo matrimonio, da una maggiore solidità da un punto di vista affettivo. Tornava spesso nel piccolo villaggio natio, in una zona povera e rurale. Sentiva molto il richiamo alle radici e il legame con la tradizione africana. Era un uomo abituato alla riflessione, anche a causa dei 27 anni passati in carcere. La sua vita è stata un lungo cammino verso la libertà. Era un uomo che non ha mai smesso di lavorare su sé stesso. Immagino che, anche in quest’ultimo passaggio, avrà avuto una grande serenità interiore”.
Una immagine o un messaggio con cui lo ricorderà?
“Tra i tanti che ha lasciato, ricorderò la sua magnanimità verso gli avversari politici. Nel 1993, quando fu insignito del Nobel della pace insieme a Frederik De Klerk, allora presidente del Sudafrica, arrivarono critiche a De Klerk. Mandela intervenne dicendo che anche lui meritava lo stesso riconoscimento per il contributo alla pace. Sapeva che De Klerk non aveva agito in maniera pulita: da una parte stava al tavolo dei negoziati, dall’altra sosteneva le milizie della morte che fomentavano la violenza. Ma è andato oltre sé stesso per garantire la pacificazione”.
Patrizia Caiffa