Neuroscienze / Gli effetti della meditazione sul cervello dei monaci tibetani

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Le neuroscienze indagano l’influenza della meditazione sul cervello osservando proprio dei monaci tibetani esperti in questa pratica. Gli effetti positivi della meditazione sul benessere umano sono ormai indubbi. Spaziano da una migliore regolazione emotiva ad una riduzione significativa dello stress fino all’accrescimento della consapevolezza riguardo il momento presente. Nonostante la sempre maggiore popolarità di questa attività, restano ancora poco chiari gli specifici meccanismi neurali coinvolti.

Neuroscienze / Gli effetti della meditazione sul cervello dei monaci tibetani: Lo studio 

Un team di ricercatori ha quindi provato a studiare come i diversi tipi di meditazione riescano ad influenzare l’attività cerebrale. Lo hanno fatto a partire da una delle più antiche e importanti università monastiche del Buddismo tibetano: il monastero di Sera Jey. Dei monaci in fuga dal Tibet in seguito all’occupazione cinese nel 1959, costruirono questa struttura in una regione dell’India meridionale. Ventitré monaci dell’istituto, con diversi livelli di competenza nell’ambito della meditazione, hanno partecipato come volontari alla ricerca. Quest’ultima è stata pubblicata recentemente sulla rivista “Frontiers in Psychology”, nella sezione “Consciousness Researches”. Lo studio è intitolato “Report from a Tibetan Monastery: EEG neural correlates of concentrative and analytical meditation”. Ha come primo autore Bruno Neri, docente di ingegneria elettronica presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa.monaco meditazione cervello

Neuroscienze / Gli effetti della meditazione sul cervello dei monaci tibetani: Le procedure

“Grazie alla convenzione tra l’Ateneo di Pisa e l’Università di Sera Jey – afferma Bruno Neri,  – abbiamo avuto l’opportunità di studiare la meditazione praticata da un gruppo di super esperti. La routine dei monaci in ritiro prevede quattro sessioni di meditazione di due ore ciascuna ogni giorno per un totale di circa 3.000 ore l’anno. Ho trascorso con loro periodi di permanenza piuttosto lunghi, fino a 6 settimane in tre diverse occasioni, utilizzando dispositivi di misura dei parametri fisiologici indossabili e non invasivi, per non interferire in alcun modo con le loro pratiche quotidiane.

Lo scopo era quello di indagare i correlati neuronali di due diverse tipologie di meditazione, concentrativa e analitica. Nella prima si può raggiungere uno stato cognitivo di consapevolezza priva di contenuto e pensiero discorsivo; nella seconda invece la mente viene diretta su un oggetto di riflessione (per esempio un concetto filosofico o morale), che viene analizzato in tutte le sue sfaccettature”.

Tramite modelli matematici, i ricercatori hanno studiato i dati ottenuti dall’analisi dei due tipi di meditazione. Grazie a ciò si sono evidenziate le diversità sul piano neurofisiologico nel corso della meditazione concentrativa e di quella analitica. L’elettroencefalogramma e il monitoraggio dell’attività cardiaca e respiratoria sono stati i mezzi di monitoraggio delle pratiche meditative giornaliere dei monaci. Sono stati indispensabili per la raccolta di informazioni, sondate nell’arco di diversi mesi. Questo studio è un unicum nell’ambito di questo filone di ricerca, poichè si basa sull’analisi di un campione fortemente omogeneo e molto istruito al riguardo.

Neuroscienze / Gli effetti della meditazione sul cervello dei monaci tibetani: I risultati 

“I primi risultati – dichiara Alejandro Callara, ricercatore in bioingegneria al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa – indicano che analizzando il segnale elettroencefalografico è possibile distinguere nettamente tra i due tipi di meditazione. In particolare, abbiamo visto che la meditazione concentrativa provoca un drastico cambiamento della potenza di tale segnale nella maggior parte delle bande spettrali classiche e che tale cambiamento è più evidente al crescere dell’esperienza del soggetto. Di fatto abbiamo osservato questo fenomeno con certezza in quei monaci con più di 20.000 ore di meditazione al loro attivo.

Tenuto conto della letteratura scientifica sull’argomento sembrerebbe che con l’esperienza nella pratica cresca la capacità di attivare meccanismi dell’attenzione che permettono loro di sopprimere stimoli non rilevanti, a favore della focalizzazione sull’auto consapevolezza, cosa che di fatto è proprio lo scopo della meditazione concentrativa. Abbiamo anche osservato che lo stesso soggetto (esperto) impegnato sia nella meditazione analitica che in quella concentrativa, è in grado soltanto in questo secondo caso di generare le variazioni descritte sopra, e questo ci suggerisce che tali variazioni possano essere rilevanti per uno studio più approfondito sugli stati non ordinari di coscienza indotti dalla meditazione.”

Le conclusioni sembrano andare verso il fatto che la meditazione concentrativa generi maggiori cambiamenti, incrementando le gamme di frequenza theta, alfa e beta. Ciò suggerisce un più elevato controllo dell’attenzione e un più spiccato decremento del mind-wandering durante questo tipo di pratica, rispetto a quella analitica.

   Maria Maddalena La Ferla