L’arcivescovo Kaigama, presidente della Conferenza episcopale, analizza gli esiti delle elezioni che hanno visto prevalere lo sfidante, il musulmano Buhari, sul presidente uscente, il cristiano Jonathan. La minaccia di Boko Haram non è l’unica frontiera sulla quale si misurerà il futuro del “gigante d’Africa”. Il valore della coesistenza pacifica, gli obiettivi dello sviluppo.
“Queste elezioni hanno mostrato la capacità di reazione dei nigeriani e anche che il Paese sta maturando nella democrazia”. Mons.Ignatius Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, riflette sui risultati delle recenti consultazioni presidenziali che hanno visto l’ex generale Muhammadu Buhari prevalere sul presidente uscente Goodluck Jonathan. “Tutti pensavano che ci sarebbe stata una crisi, episodi di violenza – riprende – ma per grazia di Dio abbiamo assistito a un’elezione pacifica, riflesso del desiderio dei nigeriani di restare uniti come popolo e come nazione, come un’unica famiglia che non dà peso alle differenze religiose, etniche, culturali e politiche”.
Il merito va anche attribuito al comportamento dei due candidati?
“Goodluck Jonathan ha telefonato al suo avversario persino prima che il conteggio dei voti fosse terminato e si è congratulato con lui: questa è sicuramente una tappa di maturità nel percorso verso la democrazia. Anche il presidente eletto Buhari ha tenuto un breve discorso e si è complimentato a sua volta col presidente Jonathan, definendolo persino ‘un eroe’, per aver permesso che tutto potesse procedere pacificamente e aver accettato la sconfitta. Per la Nigeria è un progresso importante e dobbiamo pregare e sperare di poterne essere all’altezza anche in futuro”.
Altre sfide attendono ora Buhari: una è l’emergenza rappresentata da Boko Haram nel nordest. Qualcosa deve cambiare nel modo di affrontarla?
“Credo che Buhari sia consapevole del fatto che Boko Haram è una minaccia all’unità della Nigeria e alla coesistenza pacifica. Non so quali siano i suoi piani, ma ha esperienza militare, lunghi anni di militanza politica e prima, durante il regime dei generali, è stato anche governatore delle regioni del nordest. Noi possiamo solo pregare e sperare che i fondamentalisti gettino le armi, abbandonino i loro ideali fanatici e cerchino un dialogo. Quando Boko Haram è nato, la popolazione chiese al governo di promuovere un dialogo: ma le autorità probabilmente avevano sottostimato la forza del gruppo, che è cambiato e ha portato avanti la sua strategia di distruzione, rendendo impossibile parlare quando ha cominciato a uccidere cristiani, musulmani, cittadini comuni e leader tradizionali. Speriamo che qualcosa cambi e che il nuovo presidente riesca a trovare il modo di convincere i capi dei fondamentalisti a dialogare o a far terminare in un altro modo l’insurrezione”.
Promuovendo, ad esempio, quella coesistenza pacifica che si è dimostrata possibile proprio durante le elezioni?
“Penso da sempre che il dialogo sia la chiave per abbattere le barriere, l’ignoranza e tutte le concezioni negative e non necessarie che si hanno gli uni degli altri. Sfortunatamente, al dialogo non si è mai dato abbastanza spazio, finché non è esplosa la violenza. Credo che queste elezioni abbiano dimostrato che il nord e il sud della Nigeria possono effettivamente collaborare e che anche cristiani e musulmani possono farlo. Jonathan, che è cristiano, aveva molti musulmani che facevano campagna per lui, e il vice di Buhari è un cristiano. Invece di togliere vite e proprietà in nome della religione si possono usare i valori della religione – quelli dell’islam e quelli del cristianesimo – per promuovere la convivenza e affrontare i nostri problemi sociali indirizzando bene le energie. Musulmani e cristiani devono lavorare per migliorare l’istruzione e il servizio sanitario, incentivare uno stile di governo corretto. I valori religiosi sono anche un’arma potente per sconfiggere la corruzione e di conseguenza la povertà e le diverse crisi, per far sì che la Nigeria, che si definisce il gigante dell’Africa, cominci effettivamente a comportarsi come tale”.
Quale può essere in questo senso il contributo della Chiesa?
“Non abbiamo poteri esecutivi, solo quello delle preghiere e di predicare ciò che è giusto, cercando di restare al di sopra della politica di parte. Possiamo parlare con le autorità e continueremo a farlo anche con Buhari, che abbiamo incontrato prima delle elezioni. Noi siamo la voce del popolo e testimonieremo al presidente quello che vediamo nelle città e nei villaggi. Quando il governo farà bene, lo loderemo, quando non accadrà lo diremo, senza timore”.
Davide Maggiore