Ogni anno la Giornata internazionale contro il razzismo diventa un’occasione pubblica per un esame di coscienza sulla qualità delle relazioni sociali anche in Italia. Il 2010 sembra essere stato un anno nel quale la discriminazione, la disparità di trattamento hanno guadagnato spazi nuovi. Gli episodi non sono più circoscritti ad ambiti specifici, ma dicono una diffusa insensatezza della violenza razziale, mutuata da una informazione sensazionalistica e da una politica talora ideologica su alcuni temi.
Il database Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), analizzato ogni anno dal Dossier Statistico immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, permette di costruire una interessante e al contempo preoccupante mappatura del fenomeno della discriminazione razziale ed etnica in Italia e di raccogliere alcuni esempi del tipo di discriminazione verificatasi. Stando ai dati a disposizione, nel 78,1% dei casi rilevati nel 2009 si è trattato di una discriminazione diretta; solo nel 10,1% dei casi si è avuta una discriminazione in forma indiretta, mentre nel 10,1% degli eventi pertinenti la discriminazione diretta è stata aggravata da molestie.
Le vittime della discriminazione sono cittadini di origine africana ed alcune comunità nazionali, in particolare quella rumena, cinese, marocchina e bangladese, e tra i gruppi etnici soprattutto le comunità rom e sinte. Passando alla collocazione geografica delle discriminazioni, nel 2009 i dati evidenziano come la percentuale di casi verificatisi in Nord Italia sia diminuita dell’8,5% attestandosi al 50,8%, salgono invece gli eventi pertinenti segnalati al Centro Italia (+7,7%), sino ad arrivare al 41,2%. Rimangono stabili le segnalazioni provenienti dal Sud (8%). La geografia della discriminazione rispecchia la distribuzione territoriale dell’immigrazione. I casi seguiti dall’UNAR dimostrano non soltanto la persistente presenza di una discriminazione scaturita da differenze di ordine etnico-razziale, in cui il ruolo di marcatori etnici come il colore della pelle o della diversa religione continuano ad avere un forte peso nella relazione interpersonale, ma anche il coesistente ruolo nella condotta discriminatoria di variabili socio-economiche e di diffusi pregiudizi nei confronti delle diverse nazionalità e minoranze, che possono far parlare di un crescente razzismo.
L’inasprirsi delle tensioni interetniche, delle rappresentazioni simboliche stereotipe nei confronti delle diversità culturali e delle condotte discriminanti in Italia ha prodotto la crescita di tensioni ed ansie collettive, più che una condivisa e più matura cultura dei diritti e delle pari opportunità. Anzi, i casi di discriminazione hanno prodotto marginalizzazione, inferiorizzazione, gerarchizzazione o disparità di trattamento nei confronti delle comunità etniche e delle minoranze. I dati sulle discriminazioni sono certamente minoritari rispetto al diffuso spirito di solidarietà che contraddistingue molti italiani. Sembra però sempre più evidente che la storia culturale, sociale e politica italiana di apertura e disponibilità, di advocacy non è riuscita, però, a neutralizzare del tutto i rischi e le contraddizioni poste da un’immigrazione di massa.
Infatti, nonostante l’evidenza dell’esigenza strutturale dell’immigrazione per lo sviluppo socio-economico e culturale del nostro Paese, ed il moltiplicarsi di relazioni interpersonali e interculturali con persone provenienti da mondi differenti o di minoranze storiche, i casi di discriminazione registrati nel corso del 2010 hanno segnalato una crescita dell’inquietudine per la presenza straniera, percepita sempre più come una minaccia per l’ordine pubblico e l’incolumità personale. La Giornata annuale diventa allora l’occasione per segnalare la necessità di maggiori riflessioni, anche a carattere politico-istituzionale e culturale, per costruire un tessuto di relazioni che sappiano allontanare il peccato sociale della discriminazione nella costruzione della città.
Mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes
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