Messaggio urbi et orbi / Papa Francesco: non è tempo di egoismi, di debiti, di sanzioni

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Il messaggio di Pasqua del Papa si rivolge a coloro che hanno il potere di imprimere una svolta alle principali crisi mondiali. Che dovrebbe approfittare della pandemia per cambiare paradigma.

Forte e chiaro. Così è risuonato il messaggio urbi et orbi di Papa Francesco, alla fine della celebrazione della messa pasquale. Non ci si riferisce qui alla basilica quasi interamente vuota, ma alla forza delle parole del pontefice. Capace di richiamare “all’ordine” l’intero pianeta, in un momento di rara ricerca di valori e unità.

La scelta di veicolare il messaggio al di fuori dell’omelia rafforza la laicità e in un certo senso l’universalità delle parole di Francesco. Un appello al bene comune. Al bene veramente comune, quello non delimitato dall’appartenenza a una singola comunità nazionale.

Con un virus che non conosce più confini, sarebbe infatti anacronistico ridurne la lotta alla volontà o alla capacità individuale degli Stati. Da qui il riferimento centrale all’Unione Europea, che rischia di essere soltanto un edificio vuoto come l’odierna basilica di San Pietro. Per riempirla occorre “un’ulteriore prova di solidarietà”, più ampia di quella dimostrata finora, anche ricorrendo a “soluzioni innovative”. Come quelle immaginate dopo la Seconda guerra mondiale, in un contesto in cui le diffidenze reciproche erano più fondate, e i ponti più difficili da costruire.

Ma il messaggio di Bergoglio travalica le frontiere europee e abbraccia un orizzonte più ampio. Quello spesso trascurato dai nostri media, oggi sempre più concentrati sulla “nostra” emergenza. Nelle ultime settimane sempre più teatri di guerra, fortunatamente, hanno visto un cessate il fuoco per consentire agli attori coinvolti di fronteggiare la pandemia. Ma non è abbastanza. Le tregue sono troppo spesso fragili e violate dagli interessi di alcune parti di sfruttarne le circostanze. E soprattutto mostrano ancora tutta la loro provvisorietà. Per questo il papa si appella a chi può determinare le sorti della Siria, dello Yemen, dell’Ucraina. Senza dimenticare l’Africa, che continua ad affrontare in troppi suoi Paesi, dalla Libia al Mozambico, il terrorismo e le crisi umanitarie.

Nell’auspicio del superamento delle divisioni, il papa non usa mezzi termini. Conflitti, debiti e sanzioni sono tutte facce della stessa egoistica medaglia. Chi può, deve fare lo sforzo di tendere la mano, condonare, chiudere con un certo passato. Il riferimento alle misure imposte dall’Occidente ad alcuni Paesi che ritiene nemici, è chiaro. Solo poche settimane fa un Iran in piena emergenza coronavirus aveva chiesto al pontefice di mediare con gli Stati Uniti per la cancellazione delle sanzioni. Ed è possibile che simili posizioni siano state espresse da Putin, per la sua Russia, nel suo ultimo incontro con Francesco.

L’universalismo del Papa supera ogni recinto ideologico, non dando spazio alcuno alla presunta superiorità morale di un Occidente che non ha mai smesso di combattere la sua Guerra fredda su vecchie e nuove cortine di ferro. E pur attingendo a principi raramente applicati dalle principali potenze, gli appelli di Francesco si basano su opzioni realistiche e politicamente valide, come osservato dall’ex presidente dello Iai Stefano Silvestri. Chissà se stavolta i grandi leader, in qualche caso (vedi Boris Johnson) personalmente coinvolti negli effetti della pandemia, vi daranno ascolto.

Pietro Figuera