
Ora l’iter legislativo s’è completato e si può assumere con le nuove regole; c’è chi le ha soppesate con particolare attenzione dal lato dei licenziamenti, ma la vera portata della nuova legge sta dall’altra parte del manico: si può assumere più facilmente, con più convenienza (fiscale) per l’azienda, con molte più probabilità per il giovane di un inserimento in azienda, piuttosto che un continuo sfruttamento nel segno del precariato. Se si pensa che la flessibilità dell’ultimo decennio s’era trasformata quasi completamente in precariato, prima lavorativo e poi quasi esistenziale… Proprio in queste ore Confindustria parla della possibilità di creare 150mila nuovi posti di lavoro entro un anno. Noi tutti li aspettiamo con trepidazione.
Si può fare di più? Sempre. Soprattutto, d’ora in poi servirebbe una politica industriale più raffinata, capace di aggiustare la mira e colpire nei due-tre punti vitali per la nostra economia. La fase emergenziale pian piano deve lasciare il posto ad una strategia di rilancio per i prossimi decenni, non per i prossimi mesi.
Ma togliamoci dalla testa che le cose possano andare bene per decreto legge. La politica fa la cornice, il quadro lo dovrebbero fare gli operatori economici. Vuol dire investire, crescere in dimensioni, superare quell’individualismo italico che nel mondo globalizzato è solo un limite, sfidare nuovi mercati, innovare il prodotto e promuoverlo con efficacia. Fare il mestiere dell’imprenditore, insomma: ci sono più imprese nel Nordest che in tutta la Russia, non possiamo aver cancellato qualcosa che abbiamo nel Dna da secoli.
E non è vero che tutto è impossibile. Forse la dichiarazione di Renzi (“la nostra manifattura raggiungerà quella tedesca”) è una smargiassata, ma il rilancio di Fiat e Maserati stanno a significare che, con buone idee e rimboccandosi le maniche, siamo ancora noi gli artefici della nostra fortuna.
Se proprio proprio il governo vorrà dare una bella propulsione al tutto, indichiamo due strade interessanti: la rivoluzione del mercato dei capitali (la Borsa è minuscola, non si può passare sempre attraverso le banche e c’è tanta liquidità in cerca di occasioni). E una falciata – vera – alla selva di burocrazia che ammorba la vita degli italiani e spaventa terribilmente gli stranieri. Perché dentro vi vedono assurdi ostacoli all’intraprendere, giustificati o per tenere in vita una colossale macchina pubblica, o per foraggiarla tramite buste “lubrificanti” degne di un Paese del Terzo mondo. Adelante, dunque, e senza tanto juicio.