“Una diocesi compatta e con la voglia di mettersi in movimento”. Così il vescovo mons. Antonino Raspanti prova a riassumere questi primi cinque anni di cammino episcopale. Un tempo ricco di trasformazioni che hanno mirato a mettere ordine nella struttura della diocesi. È lo stesso vescovo che ne parla nel corso di questa intervista che ha rilasciato per il nostro giornale in occasione del quinto anniversario dalla sua ordinazione episcopale. Parlando del clero e dei laici ha detto che “nessuno è inamovibile” e che “è cresciuta la consapevolezza che si è parte di un corpo più grande che è la diocesi”. Ha poi ribadito la necessità dell’”annuncio” presentando i punti delle indicazioni pastorali per l’anno avvenire e di una “formazione costante” per gli operatori delle feste patronali: “Essi – ha affermato mons. Raspanti, sostenendo la necessità di dare loro contenuti e non solo norme – non sono operai ma parte attiva della pastorale”.
Tentiamo di fare un bilancio di questi cinque anni. Quali sono stati i fronti che hanno richiesto un impegno particolare?
“In questi anni ho raccolto le istanze del clero e in parte anche dei laici. Mi è stato chiesto di mettere un po’ d’ordine in alcuni ambiti come la preparazione ai sacramenti, la celebrazione delle feste patronali, la catechesi, dove eccessive differenze e individualismi avevano creato frizioni inutili. Un’altra preoccupazione è stata la condizione di stato degli edifici di culto. Da qui l’urgenza di trovare un metodo di ordinaria manutenzione, un aspetto apparentemente marginale rispetto all’annuncio del Vangelo ma in realtà indispensabile per la vita pastorale di una comunità. Poi c’è l’impatto con la religiosità popolare, che ho notato essere molto rigogliosa, talvolta però chiusa e bloccata sul ritualismo e che necessità di essere collegata alla vita religiosa e riempita di contenuti. Un’altra necessità cui si è fatto fronte è stata la condizione di alcuni sacerdoti impegnati negli uffici della curia. Alcuni di loro erano anziani o non in buona salute, per cui lentamente abbiamo dovuto ricostituire la guida dei vari settori della Curia. Alla luce di ciò vedo questi cinque anni come una messa a fuoco dei punti critici e un tempo in cui ho cercato di mettere ordine nella struttura della diocesi”.
A proposito di uffici e nomine. Alla luce di questi cambiamenti quale messaggio è passato?
“Mi sembra che nel clero, ma anche tra i laici, si sia fatta largo l’idea che nessuno è inamovibile dalla propria postazione. I diversi cambiamenti hanno mostrato che si è trattato di una mobilità ponderata. Sia per gli accorpamenti di alcune parrocchie e sia per qualche cambio oggettivo, molti laici sono stati indotti a vedere le esigenze del corpo intero della diocesi più che della singola parrocchia. È quindi cresciuto il senso della diocesanità soprattutto tra i laici”.
Sono servite queste trasformazioni?
“Sì. Dopo questi cinque anni trovo una diocesi abbastanza compatta e con la voglia di mettersi in movimento, non quindi statica oppure con pezzi che vanno per conto loro. Qualunque parrocchia, qualunque sacerdote o laico, credo che abbia la consapevolezza di essere parte di un corpo più grande che è, appunto, la diocesi”.
Cosa ha significato per Lei iniziare il suo cammino episcopale qui ad Acireale?
“Anzitutto si è trattato di una trasformazione radicale che man mano ha investito la mia persona perché al tempo stesso ho cambiato territorio, amicizie, legami e la mia occupazione principale, che era quella di professore universitario. Colgo tutt’ora la bellezza di un impegno totale: il vescovo non conosce limiti, è dappertutto e ha a che fare con qualsiasi emergenza.”
Le indicazioni pastorali 2016-17 prendono spunto dal verbo “annunciare”. E così?
“Sì, perché il Santo Padre ci ha ricordato al Convegno di Firenze che era opportuno rileggersi l’Evangelii gaudium affinché ciascuna diocesi l’adattasse alle proprie esigenze. Così con il consiglio pastorale diocesano e i consigli parrocchiali consultati l’anno scorso abbiamo pensato soprattutto di privilegiare il verbo annunciare. Le linee pastorali sono tuttavia una lettura di alcuni punti specifici quali la pietà popolare, la famiglia, l’impegno sociale dei cristiani e l’annuncio in senso stretto”.
Sta per chiudersi l’Anno Santo della Misericordia. Cosa si augura che resti nei fedeli che hanno vissuto i vari momenti di preghiera a livello diocesano?
“Nel corso di questi momenti abbiamo avuto l’opportunità di conoscere persone e contesti che non incontriamo abitualmente: penso agli sportivi, al mondo del lavoro, alla Missione giovani, alle forze dell’ordine. A loro abbiamo mostrato che il Vangelo e la Chiesa sono uno spazio abbastanza ampio che può accogliere le loro problematiche, che hanno una prassi, come quella della misericordia, che non giudica e non condanna e che desiderano essere al cuore della sete, della fame e della ricerca di ogni uomo. Spererei che adesso tante di queste persone presso cui è stato seminato il seme non rimangano lontani ma possano rimanere legati al filo del dialogo con Dio e la Chiesa”.
Uno dei punti delle linee pastorali sono le feste patronali. Quali passi si stanno muovendo?
“Ho già dato indicazioni sia all’ufficio catechistico diocesano e al delegato vescovile per le confraternite e comitati perché si studi, esplicitamente e a breve, il modo come garantire una formazione a tutti gli operatori delle feste patronali. È importante che passi l’idea che la loro mansione non sia soltanto di tipo economico e organizzativo. Se noi ci muoviamo solo sul piano di alcune norme da imporre io credo che questo rimane sempre un aspetto esterno e continueremo a considerare gli operatori come degli operai e mai come operatori attivi della pastorale. Essi devono capire meglio il Cristo e acquisire consapevolezza dell’essere parte della Chiesa in maniera tale da apporre essi stessi le correzioni necessarie e limitare gli eccessi. Altrimenti sarà sempre un gioco tra due parti contrapposte: tra chi detta le leggi e vuole farle osservare, in maniera spesso perdente, e chi si sente solo una parte che deve pagare una tassa, rimanendo in ultimo estranei alla vita pastorale della Chiesa”
Domenico Strano