In un Paese segnato dalla crisi economica, dagli scandali e dal virus Zika, questi Giochi provano a risollevare il morale di un popolo triste. Alla fine non si presenta nemmeno Pelé: il mitico ‘O Rey non ce la faceva a reggere fisicamente la fatica della cerimonia. E’ lo specchio desolante di una nazione stanca e sofferente, distante anni luce da quel 2009 in cui si aggiudicò sia i Mondiali di calcio sia le Olimpiadi. Ma la fiamma accesa, oltre a racchiudere lo spirito dei giochi olimpici, contiene la speranza di un Paese che vuole dimenticarsi, almeno per una notte, dei suoi tristi problemi.
Rio de Janeiro è vestita a festa: i giochi sono iniziati. Nella notte si è tenuta la cerimonia di apertura delle prime Olimpiadi del Sudamerica, quelle del Brasile. In un Paese segnato dalla crisi economica, dagli scandali e dal virus Zika, questi Giochi arrivano come un antidepressivo per risollevare il morale di un popolo triste. Alla fine non si presenta nemmeno Pelé: il mitico ‘O Rey non ce la faceva a reggere fisicamente la fatica della cerimonia. E’ lo specchio desolante di una nazione stanca e sofferente, distante anni luce da quel 2009 in cui si aggiudicò sia i Mondiali di calcio sia le Olimpiadi. A quei tempi il Brasile volava, e cercava di scalare posizioni tra le potenze mondiali. Ma nel frattempo il mondo si è capovolto.
Adesso i suoi abitanti convivono con la crisi economica, la disoccupazione e la povertà.
L’ex presidente Lula ha rischiato l’arresto, mentre Dilma Roussef è sospesa dall’incarico in attesa del giudizio sull’impeachment. Due anni fa la nazionale di calcio ha perfino perso 7 a 1 la semifinale dei mondiali di casa contro la Germania. Uno shock da cui il Paese non si è ancora ripreso.
Non stupisce che il 40 per cento dei brasiliani considerasse questa Olimpiade come innecessaria, accadde lo stesso alla vigilia di Londra 2012. Ai sondaggi pessimi dell’inizio, fece da contraltare l’ultima notte in cui nella capitale inglese nessuno voleva più andare a dormire: tutti si erano innamorati dei Giochi e ogni londinese voleva che quella festa non finisse. Così, per rispettare il momento difficile, la cerimonia di apertura è stata meno opulenta, più spartana e su scala ridotta.
E anche se il budget era un dodicesimo di quello usato quattro anni fa a Londra, non ha smarrito neanche un briciolo di quella magia. I bassi effetti speciali sono stati compensati con tanta creatività e un’ondata di passione.
Lo show, tra l’altro, è stato firmato da un architetto italiano, il veneziano Marco Balich, che ha lavorato tre anni senza sosta per preparare ogni dettaglio di questo spettacolo imponente.
Mentre fuori esplodono gli scontri e le proteste dei manifestanti, nel Maracaná, O estadio dos reis, prende vita un’esibizione con 8mila atleti, 7mila volontari e quasi 5mila comparse. Di fronte a più di 100mila spettatori e 50 capi di governo, lo show ruota festosamente intorno allo sport e alla musica, protagonisti indiscussi della cultura carioca. In questo tempio del calcio, che nel 1950 fu teatro della più grande disfatta del calcio brasiliano, va in scena il meglio del Paìs Tropical. Si parte con i brividi dell’inno brasiliano cantato da Paulinho da Viola, storica voce della musica popolare carioca. Poi, l’enorme palco ovale dello stadio si riempie di onde e di mare, finché non arrivano le tre caravelle venute dall’Europa, a evocare l’incontro epocale tra gli indigeni e i conquistatori. Ecco subito dopo un viaggio nel tempo attraverso la colonizzazione portoghese, l’urbanizzazione e la nascita delle favelas. Infine la bellezza della super modella, Gisele Bundchen, che sfila sulle note di “Garota di Ipanema”.
Finalmente arriva il momento che tutti attendono: la sfilata degli atleti. Come da tradizione apre la Grecia, che come portabandiera ha la velista Sofia Bekatorou, e chiude il Paese ospitante. Ma stavolta i riflettori del Maracanà non illuminano soltanto le stelle più brillanti come Bolt, Phelps e Federica Pellegrini, nostra portabandiera. Stavolta c’è spazio anche per gli atleti profughi della Siria, del Sud Sudan e del Congo, che sfilano sotto il vessillo a cinque cerchi del Cio in rappresentanza di tutti quelli che non hanno né una terra né una bandiera. Dopo due ore di musica e magia, a far calare il sipario ci pensa il tedoforo Gustavo Kuerten, ex tennista brasiliano. In assenza di Pelé, spetta a lui l’onore di accendere il braciere.
E quella fiamma, oltre a racchiudere lo spirito dei giochi olimpici, contiene la speranza di un Paese che vuole dimenticarsi, almeno per una notte, dei suoi tristi problemi.
Francesco Morrone