Carissimo lettore,
nella mia lettera del 1° marzo 2016 (vedi qui: https://www.vdj.it/?p=37425) hai notato che non ho fatto cenno alcuno al tema dominante di questo anno giubilare. Rimedio cercando di scoprire quanto si è prefisso il Papa nell’indire questo anno di misericordia.
Nella bolla di indizione del Giubileo Straordinario della misericordia (“Misericordiae vultus”), al N. 3 il Papa invita a “tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre”. Da qui la grossa responsabilità di permettere al Padre di utilizzarci come strumento della Sua azione nel mondo; tanto da poter dire: “è Gesù che passa, che cura, che accarezza…”.
Al N. 4 della “Misericordiae vultus” è spiegata la scelta dell’otto dicembre come data d’inizio dell’anno santo: essa è “carica di significato per la storia recente della Chiesa” perché coincide con il “cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II”.
L’apertura della Porta Santa non è avvenuta in San Pietro ma in Africa; e la cerimonia è stata ripetuta dai vescovi di tutte le diocesi nelle rispettive cattedrali. Sono segnali chiari sul programma di agevolare al massimo i fedeli delle periferie permettendo loro di usufruire dell’indulgenza plenaria senza spostarsi dalle loro case.
Tra le condizioni per lucrare l’indulgenza plenaria c’è quella di confessarsi entro una settimana (prima o dopo) dell’attraversamento della Porta Santa. La confessione, segno per eccellenza della misericordia di Dio, diventa il perno attorno al quale ruotano tutte le iniziative del Giubileo.
Alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso una grave crisi ha interessato la Chiesa Cattolica. Sono stati messi in discussione anche i sacramenti dell’Eucaristia e della Confessione. In quegli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II era facile trovare in qualche antiquariato dei confessionali perché venduti in quanto inutili, mentre nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica al N. 246 essi sono annoverati tra “i luoghi privilegiati all’interno degli edifici sacri”. In quel periodo era frequente sentire: “Io mi confesso direttamente con Dio”, mentre nel N. 303 del CCCC si legge che “la confessione consiste nell’accusa dei peccati fatta davanti al sacerdote”. Infine il N. 311 chiarisce quando si può celebrare questo Sacramento con la confessione generica e con l’assoluzione collettiva: “in casi di grave necessità (in pericolo imminente di morte come una nave che sta affondando o un aereo che sta precipitando)… e con il proposito di confessare individualmente a tempo debito i peccati gravi.”
San Josemaria Escrivà, che si può definire un apostolo della confessione, spiegava le sue caratteristiche: “chiara, concreta, completa e concisa” e raccomandava di confessarsi frequentemente.
Una lodevole iniziativa della nostra Chiesa acese è stata la stampa di un pieghevole dal titolo: “Celebrazione individuale del sacramento della riconciliazione”. In esso sono riportati gli orari in cui ci si può confessare nelle chiese del centro.
Nella speranza di ricevere tuoi consigli e suggerimenti, ricevi da parte mia cari saluti.
Nino Ortolani