Genitorialità e carriera / Ovuli congelati come benefit o regalo di famiglia: pari opportunità o spregiudicatezza?

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In principio furono Facebook e Apple ad offrire l’omaggio alle proprie dipendenti in carriera. Oggi pure qualche mamma “previdente” propone il congelamento alle proprie figlie, così che possano disporne anche oltre il limite temporale previsto dalla natura. Una concessione alle regole ferree del mercato insieme con una certa spregiudicatezza esistenziale.
??????????????????????I primi sono stati Facebook e Apple, qualche mese fa, seguiti a breve distanza da Microsoft e Google. Hanno regalato alle proprie dipendenti, come benefit, la possibilità di congelare i propri ovuli in modo da rimandare la gravidanza a dopo la fine della fase più intensa della carriera. Già, perché pare proprio una iattura che, per la donna, la stagione più adatta per potersi fare strada sul lavoro coincida con quella della massima fertilità. “Freeze your eggs, free your career” (“congela i tuoi ovuli, libera la tua carriera”) è il motto che qualche mese fa campeggiava sulla copertina di Bloomberg Businessweek, strizzando l’occhiolino alle aspiranti “donne in carriera” che al momento non possono permettersi di dedicarsi ad una maternità, pur desiderandola profondamente.
Pari opportunità? In molti negli Usa hanno salutato la novità come una potenziale rivoluzione, un’opzione che potrebbe cambiare le regole delle pari (non troppo) opportunità, “livellando il campo di gioco tra uomini e donne” sul lavoro. L’attivista della crioconservazione degli ovociti Brigitte Adams, per esempio, ha spiegato a Nbc News che “conciliare una carriera di successo con i figli è ancora molto difficile”, e che dunque offrendo questo benefit, Apple e Facebook dimostrerebbero di aver voluto “investire sulle donne”, permettendo loro di costruirsi la vita che desiderano. In effetti, la “spinta gentile” da parte di questi ”giganti” c’è. L’azienda si avvantaggia della dedizione delle giovani, ma loro ampliano il ventaglio di opzioni tra cui scegliere, a fronte di tutti gli imprevisti e i cambiamenti della vita.
I costi. Peraltro, si tratta di un investimento economico notevole. Per avere buone chance di successo, infatti, gli esperti suggeriscono di congelare almeno 18-20 ovuli, ottenibili da almeno due cicli di raccolta, che in Usa costano da 7 a 12mila dollari l’uno, a cui vanno aggiunte le tariffe per la conservazione in azoto liquido, che vanno da 500 a 3-4mila dollari l’anno. Procedura decisamente esosa e non alla portata di tutte le tasche. Ma, evidentemente, sia Facebook che Apple lo ritengono un investimento proficuo, visto che arrivano a coprire fino a 20mila dollari per dipendente. In Italia i costi dell’operazione (crioconservazione di un congruo numero di ovuli) sono molto più bassi, tra i 2.500 e i 3.500 euro, più circa 300 euro per ogni anno di conservazione in azoto liquido, anche se solo poco più della metà dei centri per procreazione assistita ufficialmente censiti pratica di fatto questa tecnica di conservazione dei gameti.
E in Italia? “In Italia sta crescendo (questa pratica), – spiega Andrea Borini, presidente della Società italiana di conservazione della fertilità – ma nonostante siamo i primi ad avere buoni successi dal congelamento degli ovociti, la popolazione italiana conosce poco questa cosa. Anche se abbiamo cercato di fare delle campagne di sensibilizzazione al problema le cose procedono lentamente. Ed è un peccato”. Ovviamente, a parere di Borini. Tuttavia, comincia a spuntare anche da noi qualche solerte madre che “generosamente” si dice disponibile a regalare alla giovane figlia il congelamento degli ovuli, così da non doversi preoccupare troppo per lo sviluppo della propria carriera e, a tempo debito (anche oltre il limite temporale previsto dalla natura), poter decidere di affrontare una maternità con più libertà e dedizione.
Una “soluzione” ambigua. Eppure c’è qualcosa che non quadra. È sicuramente vero che, al giorno  d’oggi, le esigenze legate ad un ambizioso percorso lavorativo, spesso mal si conciliano con l’impegno pieno e generoso di una maternità responsabile. Ma perché mai la soluzione dovrebbe essere ricercata nella direzione di “piegare e forzare” la natura dei processi procreativi, per renderli “compatibili” con le suddette esigenze (ma poi, decise da chi?)? Non sarebbe molto più logico ed efficace impegnarsi a ripensare in profondità le condizioni lavorative attuali, soprattutto nei confronti delle donne, spesso fortemente penalizzanti rispetto alle esigenze genitoriali e della gestione familiare in genere? È davvero inquietante che le “regole” del lavoro, convenzionali e temporanee, assurgano al rango di “esigenze imprescindibili”, quasi “naturali”, mentre il desiderio di diventare madre e padre (questo sì “naturale”) debba sottostare alle concessioni del mercato. Insomma, perché non rimettere al centro l’essere umano, con la sua dignità e le sue esigenze essenziali, e adeguare ad esse le altre istanze socio-economiche?
Maurizio Calipari
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