SECONDA PARTE –
Più di sessant’ anni fa, il 14/06/1960, in una delle allocuzioni tra le più ricordate di tutte quelle che interessarono la sua campagna elettorale per la Casa Bianca, il senatore John Kennedy pose l’attenzione sull’errata strategia d’impostazione della politica estera dell’Amministrazione uscente verso l’Unione Sovietica, perché fondata “ unicamente sulla corsa agli armamenti e sulla guerra fredda “.
Erano, infatti, quelle le due realtà, o per meglio dire, le due reali necessità che vicendevolmente trovavano alimento e forza, ancora in quell’inizio degli anni ’60, negli indirizzi programmatici dei Dipartimenti di Stato e della Difesa degli Stati Uniti.
Il senatore di Boston lamentò la condizione “ ingessata “ o bloccata di quella politica, a causa della presenza di una rigida contrapposizione ideologica. Da un lato, infatti, si poneva l’accento, per esempio, sull’enfasi dell’anticomunismo e, dall’ altro lato, si manifestava interesse alla rincorsa, al livello sempre più elevato, dell’ armamento nucleare, ed alla necessaria deterrenza. Tutto questo rendeva pertanto praticamente impossibile, anche solo nella progettazione, un diverso approccio dei rapporti politici e diplomatici, tra Washington e Mosca. E, poi, d’ altra parte, la deterrenza poteva veramente ritenersi, come dire, la fortezza che metteva al sicuro da ogni rischio ? Non era forse una sorta di tragica finzione che veniva usata come conforto psicologico per il popolo ?
Dominio ideologico, dall’una e dall’altra parte, e quindi esercizio dell’ influenza politica sul resto del mondo : forse era questa la vera e propria posta in gioco. John Kennedy rifletteva su questa impostazione dei rapporti USA – URSS ed era ragionevolmente allarmato e fortemente preoccupato a causa dei possibili sviluppi futuri che questo indirizzo poteva procurare ad entrambe le superpotenze, ed ovviamente di riflesso all’intera umanità in generale.
Si chiedeva perché mai non dovesse essere possibile rielaborare, con sollecitudine, un nuovo orientamento di sviluppo dei rapporti USA – URSS posto che, qualunque errore strategico o di calcolo, o comunque un qualsiasi equivoco sulle intenzioni dell’ avversario, poteva ben collocare entrambe le superpotenze di fronte alla scelta di dar vita ad un conflitto nucleare.
Ed anche senza incorrere in quegli ipotetici, ma sempre possibili scenari, la corsa agli armamenti non aveva già innescato, con le necessità di sempre più pressanti prove e riprove di esperimenti sempre più frequenti ed invasivi nell’ atmosfera ed oltre, un fall – out di particelle radioattive, con incalcolabili danni all’ ambiente ? Infatti, a tutto il 6 agosto 1963, si erano già contati, dall’inizio dell’era nucleare ( 6 agosto ’45 ) ben 393 esperimenti atomici, così ripartiti : 259 per gli Stati Uniti, 2 per gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, in società, 126 per l’ Unione Sovietica e 6 per la Francia. ( 1 )
Il senatore del New England si convinse che – qualora fosse stato eletto Presidente – la più urgente, la più necessaria delle iniziative da intraprendere, dovesse essere la fermata, da subito, alla corsa al riarmo. Ma come fare, come iniziare a far accettare ai generali, per esempio, che l’Unione Sovietica non era più da considerare come il Paese “ nemico “, verso cui il Pentàgono poteva immaginare di programmare colpi preventivi, invece che giudicarla, al contrario come la Nazione che aveva pagato un altissimo prezzo, in termini di perdite umane e danni territoriali, nel corso del 2 ° conflitto mondiale ? John Kennedy venne eletto Presidente e in pochi giorni – il tempo dell’ interregno, prima dell’assunzione delle funzioni, dall’ 8/11/1960 e fino al 20/01/1961 – si trovò ad ereditare i problemi irrisolti della precedente Amministrazione repubblicana e poi a dirigere la potenza più tecnologica del mondo, e questo solo aspetto comportava comunque compromessi o condizionamenti, nell’esercizio dei poteri presidenziali, non potendo ovviamente, il Presidente Kennedy, realizzare immediatamente tutti i suoi punti di vista ed i suoi programmi.
La statura morale di John Kennedy esercita oggi lo stesso intatto fascino di 60 anni fa, del momento cioè dell’elezione, scaturita dopo un duello politico condotto col vice presidente uscente Richard Nixon, lungo, incerto, contrastato e combattuto. Iniziò subito – come aveva promesso – a studiare il problema della dissuasione nucleare. Il capo della Casa Bianca riteneva tutta quella sfida con l’Unione Sovietica, assurda e pericolosa, ingiustificata e senza senso. All’enorme sforzo competitivo, prodotto dall’Unione Sovietica , bisognava rispondere in modo intelligente, senza dare spazio al panico. Nel suo primo messaggio sullo stato dell’Unione, significativamente affermò : “ …… dobbiamo impedire che la corsa agli armamenti inquini lo spazio extraterrestre. Dobbiamo aumentare il nostro appoggio alle Nazioni Unite in quanto strumento per porre fine alla guerra fredda invece che arena dove combatterne le battaglie. Ed io vorrei rivolgere uno speciale appello alle nazioni più piccole perché si uniscano a noi per rafforzare l’ Organizzazione dell’ONU che è molto più necessaria per la loro sicurezza che per la nostra …. Infine, questa Amministrazione intende esplorare tutte le possibili vie di collaborazione con l’Unione Sovietica e le altre nazioni per invocare le meraviglie, non i terrori della scienza “. ( 2 )
La politica militare, che agitava lo spettro della minaccia della guerra atomica – la rappresaglia massiccia, che avrebbe coinvolto l’intero Pianeta, solo per rispondere alle guerre locali di liberazione – doveva essere abbandonata del tutto.
Il capo dell’ Esecutivo introdusse il pensiero politico che la politica militare dovesse soggiacere a quella estera e non dovesse accadere il contrario. Erano più importanti le armi della diplomazia e della politica, rispetto a quelle della difesa, e doveva essere il potere politico a dirigere il settore militare e non il contrario. E’ celebre la battuta mordace del Capo della Casa Bianca, secondo la quale, se si fosse dato appoggio cieco alle opinioni dei militari, senza riesame critico, alla fine avrebbero avuto ragione i militari, perché non sarebbe rimasto nessuno a poterli criticare, dopo l’avvìo di una eventuale guerra atomica …… . Occorreva intanto rispondere all’offensiva diplomatica di Khrushchew a Ginevra del 1955, con il passaggio della teoria dalla “ rappresaglia massiccia “, alla “ risposta flessibile “. Di fronte ai gravissimi rischi del riarmo nucleare, non bastava soltanto limitarsi a valutare gli interessi del bilancio e del risparmio prodotto dall’ investimento sul nucleare. Quello che riguardava l’interesse generale, aveva la priorità su qualsiasi risparmio di bilancio, ammoniva il Presidente Kennedy. Lanciò allora, intanto, il mutamento radicale di strategìe, ed il ritorno alle armi convenzionali. Un mutamento radicale di linea : abbassare i toni e mettere la sordina alla Guerra Fredda. Fu proprio a questo fine,e con l’ intento di disinnescare la pericolosità della Guerra Fredda, che John Kennedy prese l’iniziativa di esplorare la possibilità di un vertice con Khrushchew, non appena prese possesso dell’Ufficio Ovale.
Il fine più specifico e diretto era certo quello di conoscere il leader sovietico e di comprendere meglio la personalità dell’interlocutore con cui doveva affrontare le più spinose questioni che dividevano le superpotenze, ma, il significato più profondo dell’atto politico fu anche quello di doversi assicurare dalla viva voce dell’avversario, il diverso valore che entrambi attribuivano a termini come pace, disarmo o collaborazione tra i loro Paesi.
Nel corso dell’incontro di Vienna, il Presidente americano pose di fronte al capo del Cremlino, per esempio, i limiti disegnati alla sua azione politica dall’intervento del Congresso e le condizioni poste dall’Organo legislativo alla ricerca di un accordo USA – URSS. Quindi, intanto conoscersi e poter dialogare, ed in seguito poter trovare un modus vivendi “ per non calpestarsi a vicenda “, come amava affermare spesso lo stesso Nikita Khrushchew.
L’incontro di Vienna, allora ebbe risultati positivi, al di là delle convergenze che entrambi ebbero, in linea di massima, e salvo migliori specificazioni, sul problema del Laos. Il fatto più importante fu l’affermazione del dialogo, il sorgere del rispetto recìproco e della stima, come capi di Nazione e tra loro come persone, e la considerazione che i rapporti tra gli Stati dovessero essere improntati alla tutela della recìproca dignità.
A tal riguardo, è bene richiamare proprio quanto Papa Francesco osserva nell’ eminente Enciclica “ Fratelli tutti “ : “ …. Occorre cercare di identificare bene i problemi che una società attraversa per accettare che esistano diversi modi di guardare le difficoltà e di risolverle ……. l’altro non va mai rinchiuso in ciò che ha potuto dire o fare, ma va considerato per la promessa che porta in sé “, promessa che lascia sempre uno “spiraglio di speranza“.
Se non si coltiva il dialogo con l’altro, non c’è futuro in una determinata società. Questo aspetto del problema, che investì i rapporti col Primo Ministro sovietico, il Presidente Kennedy lo comprese molto bene. Da allora ebbe inizio quella che fu denominata “ la diplomazia epistolare “ con Khrushchew, e fu quel particolare rapporto personale che semplificò ed offrì di risolvere le successive crisi di Berlino e di Cuba.
Gli Stati Uniti di John Kennedy non imposero al Primo Ministro sovietico l’imperium, derivante dall’indubbia supremazia tecnologica e militare, ma percorsero altre vie, propositive e di apertura alle ragioni dell’altro, senza per questo, come dire, indebolire minimamente la loro posizione politica, anzi, a conti fatti, a ben vedere, l’iniziativa servì proprio a rafforzare il ruolo d’ interlocutori politici.
Lo si notò anche con la crisi di Berlino, e proprio quando da Mosca si prospettava la ricerca di un trattato separato con la Germania Orientale, da parte Occidentale, la Casa Bianca tentò di spiegare, con garbo tecnico, i diritti su Berlino Ovest, precisandone la chiave giuridica. Allora, la crisi venne disinnescata sul suo aspetto più pericoloso e l’Unione Sovietica si limitò a costruire il famigerato “muro“, entro il suo stesso spazio d’influenza, senza minimamente intaccare i diritti occidentali su Berlino Ovest. Fu un atto certamente arbitrario, che si propose tuttavia di non “ calpestare “, per usare l’ espressione del leader sovietico, l’ altro interlocutore.
Lo stesso epilogo avvenne in occasione della crisi di Cuba. Anche in quel caso, per comprendere bene le iniziative di quel periodo del Presidente Kennedy, occorre dire che furono messe in atto in modo azzeccato ed appropriato, e per risolvere la drammatica difficoltà. Soccorre, in proposito, sempre l’ Enciclica papale : “ Ognuno svolge un ruolo fondamentale, in un unico progetto creativo, per scrivere una nuova pagina di storia, una pagina piena di speranza, piena di pace, piena di riconciliazione “.
Il successo di John Kennedy nel suo grande impegno di mediazione non fu certo casuale: anche in quell’occasione, tanto drammatica, si pose nei panni dell’ interlocutore, nelle ragioni dell’altro e nella necessità di non umiliarlo, di tutelarne la personalità, di stare ben attento a non collocarlo con le spalle al muro e di lasciargli comunque una via d’uscita. Cosa che Khrushchew riconobbe con obiettività : “ Il Presidente Kennedy ci sta lasciando una via d’uscita ( diplomatica ). Allora accettiamola ! “Anche al Cremlino – come pure alla Casa Bianca – c’erano i cold – warriors, che “ soffiavano gli uni sul fuoco degli altri “, per fare incendiare il Pianeta.
Un altro ulteriore esempio del modo in cui il Presidente Kennedy propose di fare rispettare la dignità, non solo degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, ma di tutti gli Stati del Pianeta, fu la proposta che presentò all’Assemblea Generale dell’ONU, sul tema del disarmo.
Il Capo dell’Esecutivo statunitense parlò di un meccanismo “ atto a mantenere la pace, mentre distruggerebbe al tempo stesso le macchine da guerra. Procederebbe attraverso fasi equilibrate e garantite, destinate a non dare ad alcuno Stato un vantaggio militare sull’altro. Affiderebbe la responsabilità definitiva della verifica e del controllo all’organo cui veramente spetta, e cioè non alle sole grandi potenze, non al proprio avversario o a sé stessi, ma ad una organizzazione internazionale, nell’ambito delle Nazioni Unite. Assicurerebbe quella che è una condizione indispensabile del disarmo – un’effettiva ispezione – in fasi proporzionate alle fasi del disarmo “. ( 3 )
Il grande progetto del Presidente della “Nuova Frontiera“, attuale anche oggi, a distanza di 60 anni, era quello di guadagnare nuovi spazi alla dimensione della dignità di tutti gli Stati, accettando il disarmo non solo per le armi nucleari, ma anche per quelle convenzionali.
LA CONDIVISIONE DI UNA ECOLOGIA RESPONSABILE
Questa presentazione solenne e formale del settembre 1961 del Presidente americano, all’Assemblea Generale delle N.U., cioè alla comunità mondiale, nel suo complesso, di un progetto di urgente soluzione quale quello che si presentava sul disarmo condiviso, di piena attualità anche oggi, è pure valida, quanto al metodo, per l’ obiettivo che interessa l’intero Pianeta, della realizzazione di una ecologia a misura d’uomo, rigorosa nella tutela della biodiversità, responsabile nella sostenibilità dell’impegno al ripristino degli originari habitat ambientali, mutati o degradati, dall’intervento poco accorto o poco avveduto dell’uomo. Infatti, in meno di 50 anni, insieme con le foreste, vero e proprio polmone verde, responsabile della vita del Pianeta, sono andate in rovina numerose e specifiche entità animali, pari a circa il 70 % della fauna presente sulla Terra. Il ripristino della biodiversità, il riequilibrio della flora e della fauna, la lotta allo sfruttamento sfrenato delle risorse, la cura dell’ ambiente marino, trasformato pure esso dall’intervento umano, la rimessa a punto delle aree morte ( il pensiero corre, per fare qualche esempio, al lago d’Aral ), tutto questo, nel suo insieme, è parte di quelle iniziative che le Nazioni Unite, come Istituzione e come somma vera e propria delle Nazioni, hanno già avviato con la messa a punto di interventi di assoluta urgenza.
D’altra parte, il problema reale è quello di applicare un nuovo modello di sviluppo, più rispettoso della dignità dell’uomo e dell’ambiente. A questo proposito è opportuno ricordare che “ lo sviluppo non dev’essere orientato all’accumulazione crescente di pochi, bensì deve assicurare i diritti umani, personali e sociali, economici e politici, inclusi i diritti delle Nazioni e dei Popoli. Il diritto di alcuni alla libertà d’impresa o di mercato non può stare al di sopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri; e neppure al di sopra del rispetto dell’ambiente, poiché, chi ne possiede una parte, è solo per amministrarla a beneficio di tutti “. ( PAPA FRANCESCO, Enciclica “ Fratelli tutti “ ). Già nella molto importante Enciclica “ Laudato sì, sulla cura della casa comune “, Papa Francesco aveva fatto riferimento al riscaldamento globale, derivato dalla concentrazione dei gas serra e causato dall’intervento dell’uomo che, con una azione sfrenata e rapace delle risorse del Pianeta, ha finito con l’alterare lo stesso processo autoconservativo della Terra.
Questa azione umana, poco rispettosa della natura e delle risorse, ha comportato e comporta tuttora alcuni importanti risultati, come la perdita delle foreste, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello dei mari e l’impoverimento stesso delle specie ittiche del mare. Dalla constatazione, quindi, delle crisi ambientale e socioeconomica, provocate dallo sviluppo non sostenibile delle attività economiche, è scaturito l’appello della S. Sede affinché accordi internazionali possano dar vita a “ quadri regolatori globali che impongano obblighi e che impediscano azioni inaccettabili, come il fatto che Paesi potenti scarichino su altri Paesi rifiuti ed industrie altamente inquinanti “.
Occorre cambiare con urgenza stili di vita ed anche mutare atteggiamenti culturali al più presto possibile, perché lo stato di salute del Pianeta oggi impone un’ attivazione responsabile di governanti e popoli, indirizzata a questi fini.
Sono trascorsi sessanta anni da quando il Presidente Kennedy avviò il programma di tutela delle risorse naturali per quanto riguardava gli Stati Uniti. Ritorniamo oggi a questi problemi, anche allora sussistenti: questo dà la misura esatta del tempo trascorso e del ritardo nella presa di coscienza globale dell’ampiezza e della serietà della tutela ambientale.
In una dichiarazione del 3 marzo ’61, infatti, il Capo della Casa Bianca pose la sua riflessione sul principio inossidabile di “ trasmettere intatte a coloro che verranno dopo di noi, come ci furono trasmesse da –coloro che vennero prima di noi, quelle ricchezze e quelle bellezze naturali che ci appartengono …. “. Nel messaggio speciale sulle risorse naturali, del 23 febbraio 1961, affermò : “ Tutta intera la nostra società si fonda sulle nostre risorse idriche, la nostra terra, le nostre foreste ed i nostri minerali e dipende da essi. Il modo in cui
noi utilizziamo tali risorse influenza le nostre condizioni di salute, la nostra sicurezza, la nostra economia ed il nostro benessere …”. Sulle risorse idriche e sul livello d’inquinamento, allora presente, puntualizzò : “ L’inquinamento dei nostri fiumi e corsi d’acqua …… ha raggiunto proporzioni allarmanti ….. dovremo adoperare e riadoperare le stesse acque, assicurandone la qualità oltre che la quantità ….. in tutte le parti del paese dobbiamo tutelare le riserve ….. la nostra Amministrazione sta ora compiendo raddoppiati sforzi per procedere alla desalinizzazione delle acque degli oceani e delle acque salmastre …. Gli Stati Uniti accettano volentieri la collaborazione di tutti gli altri paesi che desiderino unirsi in questo sforzo …”.
Il Presidente chiese poi al Congresso : “ misure legislative ed amministrative per accelerare il controllo dell’ inquinamento delle acque ed un efficace programma federale per il controllo dell’inquinamento dell’aria ; l’appoggio al programma di ricerche in atto per la conversione dell’ acqua salata in acqua dolce; misure per migliorare l’amministrazione, l’uso e la conservazione delle terre demaniali; misure amministrative e legislative per la protezione della fauna, l’incremento dei programmi di conservazione delle risorse ittiche e della fauna nazionale “. ( 4 )
Il Presidente americano ritornò sulle misure a sostegno della politica a tutela dell’ecosistema nel messaggio presentato alle Camere riunite sullo stato dell’Unione, dell’11 gennaio 1962, e nel terzo messaggio sullo stato dell’Unione, del 14 gennaio 1963. Ed infine, nel suo secondo ed ultimo messaggio, indirizzato dalla Tribuna dell’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 20 settembre 1963, il Capo dell’Esecutivo statunitense pose la riflessione di nuovo sull’aspetto molto importante per gli Stati Uniti e per il mondo, della sua politica di pace e cioè sulla necessità che potesse avviare “ un programma di conservazione delle risorse di portata mondiale, tale da assicurare la tutela del patrimonio forestale e della fauna attualmente in pericolo d’estinzione, migliorare i sistemi per ottenere risorse alimentari dagli oceani ed impedire la contaminazione dell’aria e dell’acqua a causa dell’inquinamento industriale oltre che nucleare “.
A distanza di sessanta anni, le parole del Presidente americano risuonano oggi profetiche : la comunità mondiale è in evidente ritardo nel prendere le misure chieste e proposte allora dalla Casa Bianca. Esse costituiscono certamente anche il motivo e l’occasione per riflettere, ancora una volta, sull’ incalcolabile, irreparabile danno che la scomparsa prematura, efferata e tragica, del giovane Presidente arrecò agli Stati Uniti ed all’intera comunità internazionale.
Sebastiano Catalano
( 1 ) – LA SICILIA, 6 Agosto 1963;
( 2 ) – LA SICILIA, 31 Gennaio 1961;
( 3 ) – JOHN KENNEDY, Obiettivo Mondo Nuovo, Opere Nuove, Cassino,1962, pagg. 233 – 234;
( 4 ) – JOHN KENNEDY, Obiettivo Mondo Nuovo, op. cit., pagg. da 139 a 146.