Il 19 luglio 1992, esattamente 30 anni or sono, 57 giorni dopo la strage di Capaci, Cosa Nostra uccise il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta : Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo che stava parcheggiando una delle auto della scorta nel momento esatto dell’esplosione.
L’attentato fu uno shock per tutto il Paese ma, al contempo, svegliò le coscienze. Da quel momento, infatti, nessuno poté più dubitare dell’esistenza del fenomeno mafioso.
Dinamica dell’attentato al giudice Borsellino
Quella domenica, dopo aver pranzato con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si reca con la scorta in via D’Amelio presso l’abitazione della madre. Lì si trovava parcheggiata l’ormai tristemente famosa Fiat 126 con il carico di 100 kg circa di tritolo che esplose non appena il giudice citofonò alla madre. L’ignobile attacco uccise, come detto, il giudice e gli agenti della scorta, tra cui Emanuela Loi, prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio.
Il giudice Borsellino e la sua condizione di “ condannato a morte “
Qualche giorno prima della strage, in un incontro organizzato dalla rivista Micro Mega e in una nota intervista televisiva rilasciata al giornalista Lamberto Sposini, il giudice Borsellino non nascose di sentirsi un “ condannato a morte “.
Era certo che la mafia, dopo l’amico Giovanni, avrebbe completato l’opera uccidendo anche lui. Risuonano ancora, straordinariamente potenti e tristi, le parole di Antonio Caponnetto che subito dopo il tragico evento, sconfortato, disse : “ Non c’è più speranza “.
Anni dopo, intervistato da Gianni Minà, Caponnetto ricordò che Borsellino aveva disposto la rimozione dei veicoli nella zona antistante l’abitazione della madre. Ma la richiesta fu ignorata. Il giudice era a conoscenza persino dell’esplosivo arrivato a Palermo per essere usato contro di lui. Dopo l’attentato, l’agenda rossa che Borsellino era solito portare sempre con sé e dove annotava i dati delle indagini, non venne più ritrovata. È uno dei più grandi misteri rimasti ancora irrisolti.
30 anni dopo le stragi, cosa rimane ?
Ci chiediamo, allora, cosa rimane a distanza di 30 anni dall’estate più sanguinosa degli ultimi anni. Rimane l’intuizione di Falcone, secondo cui la chiave in grado di annientare il “ bunker mafioso “ sono i soldi: seguire i soldi.
Resta la “ diversità “ di Falcone e Borsellino nell’opporsi ai processi politici e alle facili scorciatoie con l’idea di un magistrato non mosso da finalità politiche ma dallo spirito di servizio.
Permane, soprattutto, la loro idea di coraggio che va a braccetto con lo spirito di servizio medesimo e da onorare anche a costo della vita. È questo l’eroismo. Il bene più prezioso che ereditiamo dal loro sacrificio è l’esempio. Ossia quell’agire con rettitudine e senso del dovere che deve accompagnare lo svolgimento di qualsiasi compito, dalla lotta alla mafia a qualsivoglia attività che richieda senso etico e morale in una terra in cui i cambiamenti hanno ancora il passo lento. Resta la grande lezione di vita che nessun grammo di tritolo potrà mai uccidere.
Giovanna Fortunato