Papa Francesco / All’Angelus annuncia la sua visita a Sarajevo per il prossimo 6 giugno

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Papa Francesco durante la recita dell'Angelus

Che c’entri con noi Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Non era l’uomo a parlare così nella Sinagoga di Cafarnao, ma il maligno che aveva preso il suo corpo.

Papa Francesco durante la recita dell'Angelus
Papa Francesco durante la recita dell’Angelus

Il Vangelo di questa domenica ci fa incontrare Gesù mentre insegna, nel giorno di sabato, e viene apostrofato in questo modo. Insegnava, scrive l’evangelista Marco, “come uno che ha autorità”; e con la stessa autorità libera l’uomo posseduto dal demonio. È interessante notare che arrivato di sabato nella città di Cafarnao, il più grande insediamento della Galilea, là dove viveva Pietro, Gesù non si preoccupa di trovare una sistemazione per lui e per quanti lo seguivano, ma va subito a lodare il Signore nella Sinagoga. La sua voce porta la parola di Dio; la sua voce, la sua autorità divina cacciano il maligno.
“Il Vangelo – commenta Papa Francesco all’Angelus – è parola di vita; non opprime le persone, al contrario libera quanti sono schiavi di tanti spiriti malvagi di questo mondo: la vanità, l’attaccamento al denaro, l’orgoglio, la sensualità. Il Vangelo cambia il cuore, cambia la vita, trasforma le inclinazioni del male in propositi di bene”.
Lasciatemi pensare che Papa Francesco abbia voluto scegliere proprio questo passo del Vangelo – nella domenica in cui la Chiesa italiana invita a difendere la vita dal concepimento fino al suo termine naturale – per annunciare la sua intenzione di recarsi, sulle orme di san Giovanni Paolo II, a Sarajevo, la città martire della Bosnia Erzegovina, per portare il messaggio di riconciliazione e di pace che viene dalle pagine del Vangelo.

Sarajevo, appellata da papa Wojtila la "Gerusalemme europea"
Sarajevo, chiamata da papa Wojtyla la “Gerusalemme europea”

Sarajevo, la Gerusalemme europea la chiamerà Papa Wojtyla con una suggestiva espressione, città “crocevia di tensioni, di culture, di religioni e popoli riversi”. Il 6 giugno Papa Francesco sarà, dunque, a Sarajevo anzitutto per incoraggiare i fedeli cattolici, affinché “susciti fermenti di bene e contribuisca al consolidamento della fraternità, della pace, del dialogo interreligioso e dell’amicizia”. Ecco spiegato il motivo di questo viaggio del Papa in una nazione periferia, si potrebbe dire, Paese in cui i cattolici sono minoranza. Ma è proprio la forza, la parola del Vangelo a dare loro la capacità di essere fermento in una realtà in cui, nei tre anni di guerra, si sono combattuti serbi, croati e bosniaci; ortodossi, cattolici e musulmani. La città, disse Papa Wojtyla il 12 aprile 1997, era segnata “dall’accanimento di una folle logica di morte, di divisione e di annientamento”. Lo farà celebrando Messa sotto la neve nello stadio della città; intorno, prati e colline trasformati in cimiteri, un conflitto costato la vita a 12mila persone, 50mila i feriti, l’85% dei quali civili. Un conflitto atroce, fratricida, con l’obiettivo di cancellare la Bosnia multietnica e multireligiosa; qui hanno vissuto assieme per centinaia di anni le grandi religioni del mondo: cattolici, ortodossi, musulmani, ebrei, gli uni accanto agli altri.
In questa Sarajevo, che Papa Francesco visiterà portando la parola di Dio e il messaggio di dialogo e di perdono, c’è un’immagine simbolo che vorrei ricordare: il ponte di Vrbania, sul fiume Miljacka. Oggi si chiama Diliberovic – Sucic dai nomi di una studentessa bosniaca e una pacifista croata uccise su quel ponte. Come Gabriele Moreno, e tanti altri. Come Amira Ismic e Rosko Brckic, che sono stati anche chiamati Romeo e Giulietta di Sarajevo. Lei bosniaca musulmana, lui serbo ortodosso. Un cecchino ha fermato la loro vita su quel ponte mentre si preparavano a lasciare la città per costruire assieme una vita senza odio e violenza. La differenza di etnie e di fede non è stata per loro un ostacolo. La parola di Dio, la loro guida in quei giorni in cui sembrava che non ci fosse altro spazio se non per parole di morte. I loro corpi, abbracciati, sono rimasti insepolti per una settimana. Lui è stato il primo a cadere colpito dal cecchino. Amira non ha continuato la corsa, ma è tornata dal suo Rosko, per aiutarlo, per stargli accanto. La forza dell’amore che supera le divisioni, che sa guardare all’altro prima ancora che a se stessi. Nel suo viaggio a Sarajevo Francesco porterà il Vangelo, parola di vita, di salvezza, di amore. Per dire pace, dialogo, amicizia.

Fabio Zavattaro

(Fonte: AgenSir)

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