Papa Franceso e “chi ha fame” / L’Expo può diventare lo spazio pensante della solidarietà mondiale

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Milano e l’Italia sotto i riflettori. L’auspicio del premier Renzi: “Oggi inizia il domani dell’Italia”. Ma il segno più profondo lo lascia Papa Francesco con il suo farsi voce dei poveri del mondo che “con dignità cercano di guadagnarsi il pane col sudore della fronte”. La soddisfazione per l’avvio, dopo tante difficoltà, è oscurata dalle violenze dei “black bloc” nel centro della città

Expo Milano 2015, che ha preso avvio il 1° maggio con la cerimonia inaugurale nell’area di Rho Fiera, è un evento expo_inaugurazionerealmente globale. A pochi minuti dal centro del capoluogo lombardo si estende una gigantesca area espositiva che accoglie i padiglioni di 145 Paesi, fra cui quello della Santa Sede, di tre organizzazioni internazionali (Onu, Ue e Cern), di una decina di espressioni della società civile, del lavoro e del volontariato, comprese Caritas Internationalis e la Casa Don Bosco dei Salesiani. Già ieri questa vetrina planetaria, dedicata al tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, ha visto la presenza di 200mila visitatori: nelle più rosee previsioni potrebbero salire, nei sei mesi di esposizione, a 20 milioni.
All’Expo s’incrociano culture, storie, lingue, produzioni agricole e alimentari di ogni continente. Si mettono a confronto realtà geografiche e stili di vita i più diversi. Tutto ruota attorno al tema generale: il diritto al cibo, che equivale a dire lotta alla fame e alla povertà, a equa ripartizione delle ricchezze prodotte dal lavoro delle donne e degli uomini ad ogni latitudine, dalla fecondità della terra, dall’abbondanza di acqua, dalla forza dell’energia. Produrre in abbondanza, in armonia con il Creato, suddividere secondo necessità, evitare sprechi, rispettare la natura: sono grandi sfide sulla strada dell’umanità che permangono nell’era di internet, dell’Isis, delle migrazioni di massa… Anzi, il diritto al cibo, all’acqua, alla terra da coltivare sono strettamente intrecciati proprio con la modernità, con le tecnologie futuristiche, con la ricerca scientifica, così pure con la democrazia e la pace, con una vita degna, con la possibilità di dare sviluppo a ogni Paese, evitando in questo modo che si debba fuggire dalla propria casa per cercare dignità e futuro in un altrove sconosciuto.
Nel corso della cerimonia d’inaugurazione, è stato Papa Francesco – con un collegamento in diretta televisiva – a mettere a fuoco questi punti fermi. Bergoglio ha parlato “a nome del popolo di Dio pellegrino nel mondo intero” e si è fatto “voce di tanti poveri che fanno parte di questo popolo e con dignità cercano di guadagnarsi il pane col sudore della fronte”. “Vorrei farmi portavoce di tutti questi nostri fratelli e sorelle, cristiani e anche non cristiani, che Dio ama come figli e per i quali – ha detto il Papa – ha dato la vita, ha spezzato il pane che è la carne del suo Figlio fatto uomo. Lui ci ha insegnato a chiedere a Dio Padre: ‘Dacci oggi il nostro pane quotidiano’. L’Expo è un’occasione propizia per globalizzare la solidarietà”.
Facendo riferimento al tema di Expo, Francesco ha voluto ricordare “i volti di milioni di persone che hanno fame, che oggi non mangeranno in modo degno di un essere umano. Vorrei che ogni persona che passerà a visitare Expo, attraversando quei meravigliosi padiglioni, possa percepire la presenza di quei volti”. Citando il “paradosso dell’abbondanza”, il Papa ha invitato a fare in modo “che questa Expo sia occasione di un cambiamento di mentalità, per smettere di pensare che le nostre azioni quotidiane – ad ogni grado di responsabilità – non abbiano un impatto sulla vita di chi, vicino o lontano, soffre la fame”.
Ci sarà tempo per verificare se l’edizione milanese dell’esposizione avrà rimesso al centro dell’attenzione questi temi, assieme ad altri evocati nei mesi di preparazione dell’evento e nella stessa cerimonia inaugurale: un reale sviluppo dei Paesi arretrati, la valorizzazione delle risorse ambientali, la sostenibilità dei sistemi di produzione agricola e industriale, il potenziamento delle fonti energetiche con particolare riferimento a quelle rinnovabili; così pure la creazione di sistemi socioeconomici più giusti, il rispetto delle diversità culturali e delle tradizioni alimentari, la valorizzazione del ruolo della donna nel mondo del lavoro, la consegna alle future generazioni di un pianeta salvaguardato.
All’interno di questi elementi che segnano la partenza di Expo, non si possono trascurare due ulteriori sottolineature: una positiva, l’altra purtroppo negativa.
“Siamo pronti alla vita” hanno cantato i bambini del coro che ha fatto risuonare fra i padiglioni l’Inno di Mameli in versione leggermente corretta. Una frase ripresa dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che nel discorso inaugurale ha pure affermato: “Oggi inizia il domani dell’Italia”. Frasi a effetto, certo, ma che vorrebbero trasmettere un incoraggiamento, un “ce la possiamo fare”, in un Paese troppe volte ripiegato su se stesso, sempre alla ricerca di una “svolta”, di un “rilancio”. Il taglio del nastro di Expo mostra, una volta di più, che l’Italia ha in sé energie e capacità troppe volte sottovalutate dagli stessi italiani, e che una sua parte da svolgere sulla scena europea e mondiale. La corsa scomposta a terminare il cantiere di Expo (ancora da completare…), gli intralci sul percorso (dalle liti politiche alle tangenti e al malaffare ruotati attorno agli appalti), non hanno impedito di mostrare ai 145 Stati ospiti l’eccellenza tricolore e la capacità del Belpaese di stare al passo coi tempi. Questo è un buon segnale.
La nota negativa è invece rappresentata dai gravi scontri registratisi in città, provocati nel giorno dell’inaugurazione da una folta rappresentanza di “black bloc” snodatisi da un corteo “no Expo”. È ovviamente lecito dirsi contrari all’esposizione universale e a quanto – secondo taluni – essa rappresenta. Non si può invece usare la violenza distruttiva per dar man forte a un’idea. La teoria dello “spacchiamo tutto” è sempre perdente, è solo distruttiva, e occorre rispondervi con assoluta fermezza. Semmai quei giovani violenti nelle strade di Milano chiamano di nuovo in causa la responsabilità educativa e il senso di giustizia intergenerazionale cui le famiglie, la scuola, il mondo del lavoro, la società, la chiesa e la politica sono tenuti, senza giustificazione alcuna.

Gianni Borsa

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