È stato il giorno della festa della minuscola comunità cattolica egiziana, quello di oggi, al Cairo. Oltre 25mila fedeli provenienti da tutto l’Egittohanno assiepato, sin dall’alba, gli spalti dell’“Air Defense Stadium”, lo stadio dell’aeronautica militare, dove Papa Francesco ha celebrato la messa, l’unica del suo breve viaggio nella capitale egiziana. Forte il messaggio lanciato ai cattolici locali che in Egitto, Paese a stragrande maggioranza islamica, sono poco meno di 300mila, un’esigua minoranza all’interno della minoranza copto-ortodossa che pure conta circa 12 milioni di fedeli: “Dio gradisce solo la fede professata con la vita, perché
l’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità!
Qualsiasi altro estremismo non viene da Dio e non piace a Lui!”. Un “messaggio” che acquista rilievo particolare perché lanciato in una terra dove il terrorismo ha messo da tempo, ormai, i cristiani nel mirino, vittime di una lunga scia di attentati che hanno provocato decine e decine di morti.
Carità e perdono. La strada indicata dal Pontefice è lastricata di carità e perdono: “La fede vera – ha detto Francesco – è quella che ci rende più caritatevoli, più misericordiosi, più onesti e più umani; è quella che anima i cuori per portarli ad amare tutti gratuitamente, senza distinzione e senza preferenze; è quella che ci porta a vedere nell’altro non un nemico da sconfiggere, ma un fratello da amare, da servire e da aiutare; è quella che ci porta a diffondere, a difendere e a vivere la cultura dell’incontro, del dialogo, del rispetto e della fratellanza; ci porta al coraggio di perdonare chi ci offende, di dare una mano a chi è caduto; a vestire chi è nudo, a sfamare l’affamato, a visitare il carcerato, ad aiutare l’orfano, a dar da bere all’assetato, a soccorrere l’anziano e il bisognoso.
La vera fede è quella che ci porta a proteggere i diritti degli altri, con la stessa forza e con lo stesso entusiasmo con cui difendiamo i nostri. In realtà, più si cresce nella fede e nella conoscenza, più si cresce nell’umiltà e nella consapevolezza di essere piccoli”.
Una vera e propria esortazione a non chiudersi in se stessi a causa delle difficoltà presenti che interpella tutti i cristiani del Medio Oriente.
Concetti, questi, ribaditi anche nel pomeriggio, durante l’incontro con clero, seminaristi, religiosi e religiose, oltre 1.500, radunati nel seminario maggiore copto di al Maadi. “Non abbiate paura del peso del quotidiano, del peso delle circostanze difficili che alcuni di voi devono attraversare. Noi veneriamo la Santa Croce, strumento e segno della nostra salvezza.
Chi scappa dalla Croce scappa dalla Risurrezione!”.
Un invito alla missione che è anche un incoraggiamento. “In mezzo a tanti motivi di scoraggiamento e tra tanti profeti di distruzione e di condanna, in mezzo a tante voci negative e disperate, voi siate una forza positiva, siate luce e sale di questa società;
siate il locomotore che traina il treno in avanti, diritto verso la mèta;
siate seminatori di speranza, costruttori di ponti e operatori di dialogo e di concordia”. Ma per essere veri “locomotori” occorre sconfiggere le tentazioni. Sette ne ha indicate il Papa ai consacrati:
“Lasciarsi trascinare e non guidare; lamentarsi continuamente; pettegolezzo e invidia; paragonarsi con gli altri; ‘faraonismo’; individualismo e camminare senza bussola e senza mèta”.
“Il Buon Pastore – ha ricordato il Papa – ha il dovere di guidare il gregge. Non può farsi trascinare dalla delusione e dal pessimismo”. Altra tentazione da rifuggire è quella di “lamentarsi continuamente.
Chi si lamenta sempre è in realtà uno che non vuole lavorare”.
Pericolosa è la tentazione del pettegolezzo e dell’invidia, “un cancro che rovina qualsiasi corpo in poco tempo”, ha ammonito Bergoglio, che poi ha messo in guardia dalla “tentazione del paragonarsi con gli altri” con il rischio di cadere nel rancore, nella superbia e nella pigrizia. Altra tentazione posta all’attenzione dei consacrati è stata il “faraonismo, cioè sentirsi al di sopra degli altri e quindi avere la presunzione di farsi servire invece di servire”. L’antidoto di questo veleno – ha rimarcato il Pontefice – è farsi “l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.
Da sconfiggere, infine, sono l’individualismo, “la tentazione degli egoisti che, strada facendo, perdono la mèta e invece di pensare agli altri pensano a sé stessi” e il “camminare senza bussola e senza mèta. Il consacrato perde la sua identità e invece di guidare gli altri li disperde”.
“La vostra identità come figli della Chiesa – ha concluso il Papa – è quella di essere copti – cioè radicati nelle vostre nobili e antiche radici – e di essere cattolici – cioè parte della Chiesa una e universale: come un albero che più è radicato nella terra e più è alto nel cielo!”.
Daniele Rocchi