L’effettiva parità tra donne e uomini è ancora di là da venire. E ogni seria relazione, studio, analisi del problema, che parta da dati e statistiche o da testimonianze “vissute”, mette in luce che la dignità femminile continua a essere violata, che ragazze e donne di ogni età sono sottoposte a forme persistenti, a volte esplicite altre meno, di violenza, sottovalutazione, discriminazione, sfruttamento… Accade in tante nostre case. Avviene a livello planetario, continua a succedere anche in Europa.
Così, scorrendo la proposta di risoluzione del Parlamento europeo sui “progressi concernenti la parità tra donne e uomini nell’Unione europea” stesa dall’eurodeputato belga Marc Tarabella, che andrà in discussione nell’emiciclo di Strasburgo lunedì 9 marzo nel corso della plenaria, si trovano denunce puntuali e proposte sensate per superare il “gap” che persiste in campo sociale ed economico, nella vita privata come in quella pubblica, politica compresa. Un divario che di fatto relega tante donne – non tutte ovviamente – in una condizione di inferiorità. In una sorta di “serie B” che non fa onore agli uomini, agli Stati europei, all’Europa nel suo insieme.
Traspare, dalla relazione Tarabella, un tentativo di sottrarre il problema della disparità tra i sessi – che è reale e oggettivo (più volte denunciato anche a livello ecclesiale e spesso richiamato negli interventi di papa Francesco) – a una visione ideologica vecchia, che, in quanto tale, non aiuta a imboccare la strada di un progresso reale a vantaggio di una vera uguaglianza nei diritti e nelle chance, pur nel rispetto della differenza sessuale e dell’arricchente, naturale e magnifica complementarietà uomo-donna.
Ma, come spesso accade in sede Ue quanto si toccano argomenti legati ai diritti e alle libertà, alle ultime pagine della relazione si torna all’equivoco. Il testo (al n. 45) infatti “insiste sul fatto che le donne debbano avere il controllo della loro salute e dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto; sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l’accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili…”. È, in sostanza, il presunto “diritto all’aborto” che se non entra dalla porta passa dalla finestra, se da quella se ne esce rientra subito per il camino. Senza peraltro nemmeno fare accenno al fatto che l’interruzione volontaria della gravidanza è diversamente regolata nei singoli Stati membri, ai quali – e solo a loro – spettano norme in tale materia, che non è di competenza dell’Ue.
Dunque, la parità donna-uomo è un bene utile e necessario per ogni società. Ma declinarla in una sola direzione, quasi per un riflesso condizionato (ideologicamente) non accresce d’un millimetro i diritti reali e le giuste aspirazioni delle donne del terzo millennio. Anzi, ne fa un totem ideologico che assolve le coscienze di tante belle anime laiche, ma non aggredisce alla radice la distanza reale fra uomini e donne.
Editoriale AgenSir del 5 marzo 2015