Interpellati don Gino Rigoldi (carcere minorile Beccaria a Milano e fondatore di Comunità nuova), padre Vittorio Trani (cappellano di Regina Coeli), don Sandro Spriano (cappellano di Rebibbia). In tutti la consapevolezza del rapporto speciale di Papa Francesco con i detenuti. La disponibilità ad assecondare processi di conversione personale. Giusta e inevitabile prudenza sul tema dell’amnistia
I cappellani delle carceri italiane accolgono con grande gioia le inedite parole di Papa Francesco su come vivere il Giubileo della misericordia in una situazione di reclusione. Nella lettera per il Giubileo che il Papa ha indirizzato all’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, c’è un riferimento al fatto che il Giubileo abbia “sempre costituito opportunità di una grande amnistia”. Ma soprattutto il Papa ha indicato una via concreta per ottenere l’indulgenza giubilare direttamente in carcere: nelle cappelle e “ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre”, questo gesto può “significare per loro il passaggio della Porta Santa”. Una iniziativa che riguarda i 53.889 detenuti attuali. La porta della cella come una Porta Santa.
“Gesto simbolico molto intenso”. “Dal punto di vista simbolico è un gesto molto intenso, religioso, che diventa una preghiera”. Commenta don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile Beccaria a Milano e fondatore di Comunità nuova, che ritiene l’amnistia “auspicabile perché in carcere ci sono solo i poveri”, con un avvertimento: “Deve però essere accompagnata da tutte le misure necessarie per rendere la vita dignitosa a chi esce dal carcere, altrimenti ci si ritrova nel nulla”. “L’amnistia è un discorso da fare in maniera seria, altrimenti le persone che escono si ritrovano incastrate in un sistema da cui non riescono ad uscire se non vengono aiutate a reinserirsi in società”, precisa don Rigoldi. E poi ha intenzione di spiegare bene ai ragazzi in carcere la possibilità di chiedere l’indulgenza: “Al momento è una idea un po’ lontana, perché vuol dire prendere coscienza del male fatto, chiedere perdono e impegnarsi per il cambiamento”. I percorsi di conversione sono infatti lunghi e complessi: “I ragazzi capiscono bene ed hanno la percezione del male fatto ma per chiedere perdono serve un livello di maturazione molto più alto. Dopo questa richiesta del Papa ci impegneremo per spiegare meglio il tutto”.
“Straordinaria la vicinanza del Papa”. Equiparare la porta della cella alla Porta Santa “è qualcosa di sconvolgente. Ma ci deve essere nel cuore di chi compie quel passo una presa di coscienza”. Così padre Vittorio Trani, cappellano di Regina Coeli da 37 anni. “È una cosa stupenda che va approfondita e precisata – afferma -. È straordinaria la sensibilità del Papa e la sua vicinanza alla realtà del carcere. Ora si tratterà di vedere insieme come dare corpo alle sue parole”. I detenuti, prosegue, “sono entusiasti di papa Francesco, che non manca mai di esprimere loro vicinanza”. A proposito dell’amnistia il cappellano di Regina Coeli invita a “non confondere le cose altrimenti diventiamo ossessivi”: “Intanto cominciamo a seminare questa luce in una realtà così piena di problemi; poi, tra le altre cose che possono maturare all’interno della comunità civile, c’è anche la possibilità di gesti forti come il condono o l’amnistia”. “Non metterei avanti queste parole – precisa – perché altrimenti inizia un tormentone. Cominciamo a dire che vogliamo seminare e diffondere questo messaggio di conversione”.
“Aperte le porte di tutte le celle”. “Siamo molto felici perché stavamo pensando di proporre qualcosa del genere, ossia di aprire in carcere, per il Giubileo, una porta cosiddetta ‘santa’. Con le parole del Papa si sono simbolicamente aperte le porte di tutte le celle”. Così don Sandro Spriano, cappellano di Rebibbia, a Roma, dove sono rinchiuse circa 2.300 persone in quattro istituti. “Non mi sono meravigliato – osserva -. Il Papa ci ha fatto capire che la misericordia non passa attraverso i discorsi ma attraverso i gesti d’amore. Quando è venuto a Rebibbia ad aprile ha salutato i 600 detenuti baciandoli tutti, un gesto che ha trasmesso il messaggio della misericordia. Dire che, uscendo dalla cella, ognuno potrebbe anche immaginare una vita diversa e quindi ottenere l’indulgenza, è conseguente al suo modo di agire”. A proposito delle parole del Papa sull’amnistia, don Spriano ricorda che “l’amnistia possono darla solo i nostri governanti e i nostri deputati e senatori” per cui “è vano il tentativo di minimizzare”. “Il Papa interpreta l’amnistia come un gesto di giustizia, non una regalia – afferma -. Le carceri nel mondo sono piene di poveri che non hanno avuto una difesa in un processo adeguato. Una amnistia fa giustizia di una mancata giustizia precedente, per cui è un vero gesto di misericordia”. Riguardo alla giornata giubilare del 6 novembre 2016 a piazza San Pietro, durante la quale la Santa Sede vorrebbe portare a messa i detenuti, don Spriano teme che sia una ipotesi difficile da realizzare. “Se si riuscirà a fare io sarò certo contentissimo ma non credo che esista questa possibilità – dice -. Potrà venire forse un piccolo gruppo di persone già autorizzate per i permessi premio. Ma bisognerebbe fare delle leggi apposite. Uscire dal carcere, anche solo per un giorno, è una questione legislativa che dipende dai requisiti. Le valutazioni dei magistrati, caso per caso, potrebbero far uscire forse 100 persone. Sarebbe comunque un piccolo numero”.
Patrizia Caiffa