Un prato fiorito, nel cielo tante colombe, una chiesa e due grandi campane gialle che vibrano nell’aria. Tutto porta l’annuncio: alleluia, è risorto!
In questi giorni di ritiro forzato a casa per l’emergenza Coronavirus, ciascuno di noi ha avuto modo probabilmente di mettere ordine tra quelle cose per cui non c’è mai tempo. Anche in quei cassetti della memoria, in cui i ricordi si moltiplicano senza la giusta attenzione, con il rischio di soffocare quelli più lontani nel tempo, che meritano invece di essere bene in vista perché hanno favorito la nostra crescita.
Capita così quasi per caso di rintracciare, nel lavoro di rassettamento, il biglietto di auguri pasquali, preparato forse in seconda o terza elementare.
È l’immagine della primavera che racchiude la rinascita e sintetizza in sé immagini, suoni, sapori, odori e percezioni. E la Pasqua è davvero la nostra primavera, quel momento dell’anno liturgico in cui viene rivitalizzata tutta la nostra fede quale adesione profonda a un dono totalmente gratuito. Quest’anno, purtroppo, siamo privati della partecipazione fisica alle celebrazioni, ma questo non esonera da quella comunione spirituale, che sa andare oltre l’emergenza del momento presente.
Restiamo a casa, ma non siamo isolati.
Facciamo memoria di quell’Amore, che anche oggi si offre senza richiesta, ci convoca, generandoci comunità.
A ben vedere, il momento difficile che stiamo vivendo, come tutte le crisi, può diventare un’opportunità per vivere appieno ciò a cui oggi siamo costretti a rinunciare. Il cammino verso la Pasqua, infatti, non è semplice ritualità, ma invito concreto a compiere quel passaggio (dal termine ebraico Pesach = Pasqua) che libera dalla schiavitù del peccato e apre a una nuova umanità.
Approfittiamo, allora, del tempo che ci viene dato per compiere un passaggio che non sia solo fisico o formale. Si tratta di andare fino in fondo al nostro essere per riscoprirne la natura umana e la figliolanza divina.
Cosa significa per noi oggi compiere quel passaggio? Come valorizzare al meglio la nostra appartenenza ecclesiale? Chiusi nel guscio delle nostre case possiamo metterci in cammino? In che modo?
La risposta non è scontata e potrebbe essere soffocata dalla paura e dallo smarrimento di queste giornate all’apparenza uguali, eppure dotate di una originalità propria se ci si mette in ascolto di se stessi. Il passaggio da compiere in questa Pasqua potrebbe portare a una ri-appropriazione di ciò che siamo, a partire dalla relazione con noi stessi e con gli altri.
La primavera risveglia la natura dopo il freddo dell’inverno; la Pasqua risveglia l’umanità dopo le rughe del peccato.
La speranza, alimentata dalla fede e dalla carità, è la giusta tensione per lasciar vibrare il cuore in questo tragitto. Il frutto concreto è sapere che, nonostante tutto, non siamo mai soli.
E l’impalcatura del nostro far parte di una comunità può poggiare proprio su quel contatto con il reale che viene dai cinque sensi corporali (vista, udito, gusto, odorato e tatto) le cui potenzialità spirituali sono ben note alla dottrina cattolica. Già Origene (185-254) le illustrava affermando che la vista può fissare le realtà superiori; l’udito percepisce suoni che non si trovano realmente nell’aria; il gusto fa assaporare il pane vivo disceso dal cielo e l’odorato avvertire i profumi che sono il buon odore di Cristo; infine, il tatto, grazie al quale a Giovanni viene chiesto di toccare il Verbo della vita (cfr. Contro Celso 1, 48).
Ecco, allora, che l’attuale deserto può diventare un’oasi che dona ristoro. Non in maniera ideale, ma reale.
Partiamo dalla vista: le mura delle nostre abitazioni stanno sicuramente restringendo il campo visivo, ma possono favorire una riflessione su quanto questo sia ampio. Soffermandoci sulla Croce, non possiamo non vedere la Risurrezione. È questione di sguardo, d’intenzionalità, di passione. La vista è richiamo ad andare oltre.
C’è poi l’udito: questo tempo di prova forse ha saturato le orecchie di tante parole; magari le ha anche aperte a tanto silenzio. Ed è questo aspetto inatteso e intenso ad aver messo a nudo le nostre certezze. Il silenzio è provocazione a recuperare i tempi della nostra comunicazione. Con una richiesta implicita: non servono tante parole, ma le giuste parole. L’annuncio pasquale si accoglie nel silenzio.
Il gusto: è il dono della gioia che deposita nel cuore il Vangelo. Scrive Papa Francesco nell’Esortazione Evangelii gaudium: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”. Il gusto è invito alla gioia.
Ed ancora l’olfatto: è un senso molto importante perché stabilisce un contatto che gli altri non riescono ad avere. È l’unico, infatti, a introdurre nel profondo della relazione, nell’intimità. È l’odore della fede che a Pasqua si annoda attorno ai segni del Cero e dell’Acqua battesimale. L’olfatto è una chiamata a un continuo esame di coscienza per vivere ogni giorno la resurrezione della nostra fede.
Infine, il tatto: di quante cose abbiamo fatto a meno in questo periodo di quarantena. Quante cose non abbiamo potuto toccare. Ci siamo abituati all’essenziale, sinonimo di ciò che veramente si ama. Il tatto, tra i cinque sensi, è quello che più apre all’amore concreto, alla carità. Come l’apostolo Giovanni, siamo invitati a toccare il costato squarciato e a non essere increduli. Sì, si può amare di un amore infinito fino al dono totale di sé. Pensiamo a quanti, con dedizione infinita, si sono presi cura dei malati di coronavirus.
Chiudo gli occhi, per un attimo, e mi torna in mente quel biglietto di auguri delle elementari. È la fotografia con cui rileggere i sensi per viverli appieno a partire da questa Pasqua. Auguri!
Vincenzo Corrado