Protagonisti dell’opposizione al nazismo condannati in un processo-farsa: il leader del “Circolo di Kreisau”, il protestante James Helmuth von Moltke; il giornalista cattolico Nikolaus Gross e il gesuita Alfred Delp, uno degli ottantacinque membri della Compagnia assassinati dai nazisti in Europa. Fra tante, le parole del gesuita: “Era una faccenda contro Dio, e io l’ho difeso”.
Il 23 gennaio 1945, settanta anni fa, fu scritto l’ultimo capitolo della mattanza che il nazionalsocialismo condurrà contro i suoi oppositori, dopo le esecuzioni sommarie che avevano subito seguito il fallito attentato contro Adolf Hitler del 20 luglio 1944. Si organizzarono processi-farsa (gli scranni dei giudici erano sprovvisti addirittura dei codici penali), conclusi in gran parte con condanne a morte. Fra la prima e la seconda fase di repressione sono cinquemila le vittime della vendetta del Fuehrer.
Fra i martiri della repressione spiccano figure come il leader riconosciuto del “Circolo di Kreisau”, il protestante James Helmuth von Moltke, il giornalista cattolico Nikolaus Gross e il gesuita Alfred Delp, uno degli ottantacinque membri della Compagnia assassinati dal nazismo in vari Paesi d’Europa. Questi tre protagonisti cristiani dell’opposizione alla dittatura (i primi due furono impiccati il 23 gennaio, il terzo il 2 febbraio) sono esemplari di una schiera di avversari del nazismo che troveranno la morte sino alla vigilia del suicidio di Hitler, come Dietrich Bonhoeffer, il teologo luterano ucciso a fine aprile.
Von Moltke aveva raccolto attorno a sé un gruppo di intellettuali e politici che si interrogavano sul destino della Germania, preparando un’ipotesi di governo all’indomani della fine, inevitabile considerando l’andamento della guerra, del regime. Il Circolo non era collegato con i congiurati dell’attentato del 20 luglio, ma molti suoi componenti furono arrestati con l’accusa di alto tradimento. Durante il processo von Moltke non si fece intimidire dal presidente del tribunale, il feroce Ronald Freisler, ed espresse la sua fiducia nell’avvenire di una Germania libera e senza il nazismo.
Restano di lui un diario nel quale sono annotati i meriti di quei membri delle Chiese cristiane che non avevano ceduto alla dittatura, e un intenso epistolario scambiato con la moglie Freysa nel periodo trascorso in prigione. Egli vi riafferma le proprie certezze e speranze di cristiano, motivando l’opposizione al nazismo come un dovere del credente. I due coniugi erano consapevoli della necessità della testimonianza: “… avevamo coscienza – lui scrive – che forse avremmo dovuto pagare questo prezzo”. Struggente la frase indirizzatagli dalla moglie: “Tu muori per qualcosa per cui valga la pena di morire”. E la risposta: “Non c’è motivo di umana speranza. Ma, cuore mio, siamo tenuti a valutare questo evento come un segno che Dio ci ascolta; sarebbe mancanza di fede non farlo”.
Nikolaus Gross era un sindacalista e giornalista che aveva individuato sin dall’inizio il carattere criminale e anticristiano del nazismo. Già nel 1930 sul settimanale dei sindacati cattolici di cui era direttore aveva scritto che era necessario respingere la dottrina hitleriana “non soltanto per ragioni politiche ed economiche, ma decisamente anche in nome di una posizione religiosa e culturale”. Emarginato e controllato durante la dittatura, non si era piegato alle difficoltà materiali e alle persecuzioni. Fece parte del gruppo di oppositori riuniti attorno a von Moltke e ne seguì la sorte.
Durante la prigionia, conclusa con il processo e la condanna a morte, Gross poté stabilire un contatto epistolare con la moglie (non gli fu mai permesso di incontrare la famiglia); le sue lettere sono testimonianza di una fede cristiana intensamente vissuta. Nell’ultimo messaggio parlava di “un tempo di grazia, per prepararmi al ritorno alla casa” del Padre. Ai suoi scriveva: “Ho continuamente pregato ogni giorno che, attraverso la forza e la grazia, il Signore faccia saldi me e voi, perché noi prendiamo pazientemente e devotamente su di noi tutto ciò che è stato stabilito e deciso. E sento come, attraverso la preghiera, ci sia in me calma e pace”. Gross è il primo canonizzato fra i laici tedeschi vittime del nazismo, accanto a numerosi consacrati. Giovanni Paolo II, nel corso della visita in Germania nel 1987, aveva sottolineato la “eroica testimonianza di fede” offerta da lui e da altre vittime “contro la rozzezza di una empia dittatura disprezzatrice degli uomini”.
Di Alfred Delp è stato di recente sollecitato l’avvio del processo di canonizzazione. Il giovane gesuita (fu ammesso nell’ordine con una consacrazione clandestina quando era già in prigione) aveva partecipato, con il consenso della Compagnia, alle riunioni del Circolo di Kreisau per la sua competenza nelle questioni sociali. In precedenza, aveva svolto una intensa attività di animatore pastorale, di conferenziere e autore di articoli di teologia. Arrestato, torturato e picchiato, fu rinviato a giudizio senza indizi criminali a suo carico: ma, per condannarlo, bastò il solo fatto di aver rifiutato di uscire dall’ordine dei gesuiti per avere salva la vita. Nel corso del processo tenne testa a Freiser, che esplose contro di lui in espressioni di rabbia. “Era una faccenda contro Dio, e io l’ho difeso”: così Delp consolò la sorella nell’ultima lettera.
Von Moltke, Gross e Delp non sono i soli: c’è un copioso martirologio al quale attingere per recuperare la memoria di quei testimoni che, con il loro sacrificio, settanta anni fa hanno salvato l’onore cristiano della Germania.
Angelo Paoluzi