Stiamo vivendo un periodo particolare dove le ombre sembrano prendere quasi tutto lo spazio della luce, le risorse esaurirsi, le fragilità guidano il timone della nostra esistenza e della storia. Molti di noi si ribellano, altri subiscono o reagiscono, altri ancora costruiscono anche pagando di persona, perché l’altro viva.
Spesso crediamo di poter risolvere ogni situazione precaria sbandierando e difendendo in tutti i momenti il nostro pensiero, anche se non è sempre fondato sul Vangelo o confrontato con altri per trovare una sintesi in ogni frangente. In realtà, se osserviamo la storia individuale e sociale, ci rendiamo conto che vi è “molto movimento alla superficie della mente, però non si muove né si commuove la profondità del pensiero” (Gaudete et Exsultate 38). Portiamo avanti, infatti, anche con caparbietà il nostro punto di vista, senza la consapevolezza dei nostri limiti, senza l’ascolto e il confronto con l’altro. Assolutizziamo, talvolta, il pensiero individuale senza, però, tradurlo in azione.
Presi dalla morsa del nostro individualismo, non vediamo, né ascoltiamo neanche chi vuole camminare con noi, per poter rivisitare insieme i percorsi e cercare una lettura obiettiva di ogni spaccato di vita. Metodo comune adottato oggi: qualsiasi offerta che proviene dall’altro è da contestare, senza verificare se il contributo può aprire nuovi processi che “costruiscano un popolo, più che ottenere risultati immediati che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana” (Evangelii Gaudium 224). In difesa del nostro orticello, sembra che ci manchi la capacità di allargare la visione globale sul mondo, per vedere il positivo nell’altro e riconoscere il pezzo a cui agganciarsi, per costruire il bene comune.
È possibile identificare l’esistenza solo con la rabbia, pur legittima in alcuni casi? Come imparare a gestirla, per costruire? Dove sono andati a finire tutti gli altri sentimenti e soprattutto la nostra fede? Quali alternative possiamo trovare, per poter vivere umanamente questo tempo? In che modo possiamo coltivare ed offrire in ogni ambiente il contributo critico, costruttivo, non finalizzato solo a demolire a tutti i costi?
Come è difficile oggi mettere insieme le varie tessere del puzzle che restituiscano una visione globale della realtà attraverso l’esercizio continuo di una profondità di pensiero!
Abbiamo bisogno di ritornare ad essere persone umane, abbiamo bisogno di riscoprire la cura del bene comune, abbiamo bisogno di un approccio di fede con la realtà, abbiamo bisogno di essere cristiani credenti e non atei nei fatti.
Forse è passato di moda l’impegno ad essere santi come Dio è santo? Che cosa significa per noi oggi seguire la via della santità, per essere testimoni autentici di Gesù Cristo?
Oggi è urgente ritrovare il Signore, il senso della nostra vita. Coltivando la relazione con Lui, possiamo ascoltare la sua Parola e viverla nella quotidianità non nelle grandi occasioni, ma nell’attimo presente, portando il nostro contributo evangelico che prende forma nelle scelte non solo personali ma anche sociali. Non possiamo continuare a rimanere spettatori della Storia, motivando anche l’uso della violenza per il riconoscimento dei bisogni individuali o di categoria. Non può più essere giustificata l’indifferenza di noi cristiani di fronte alle persone che in questo tempo dormono per strada o che non hanno da mangiare, che sono smarrite; né possiamo accettare l’attacco frontale come metodo per la comunicazione verbale.
La santità di una vita si rivela nella capacità della persona di esserci sempre evangelicamente laddove vive, per costruire una società dell’amore, dove testimonia che l’altro è prezioso, degno, gradito e bello, al di là delle apparenze fisiche o morali e che l’amore per lui spinge a cercare il meglio per la sua vita (cfr. Fratelli tutti 94).
Lo spessore della vita cristiana e, quindi, del cammino di santità del credente si riconosce subito dall’amore che ha verso Dio e verso i fratelli e verso le sorelle, senza esclusione. In questo tempo di pandemia in cui, per paura, rischiamo di chiuderci in un circolo egoistico, respingendo le persone, siamo chiamati a verificare la nostra capacità relazionale che ci fa essere dono verso gli altri, anche in tempi critici, come Gesù che ha dato la vita fino alla morte di croce.
Come possiamo vivere la prossimità in questo tempo, usando responsabilmente anche i mezzi di comunicazione che ci consentono di condividere con gli altri la profondità della nostra vita? Come stiamo vivendo il nostro cammino di fede? In che modo possiamo vivere la prossimità, pur nel rispetto delle regole?
Oggi, poiché non si parla facilmente della propria vita di fede, perché relegata spesso in una zona intimistica, c’è l’urgenza di condividere la ricerca del volto di Dio, di comunicare e di accogliere la modalità per rimanere sempre in relazione con gli altri, di cercare insieme le risorse attinte dal Vangelo per perdonare, per essere misericordiosi, per esprimere la tenerezza come amore preveniente, profondo verso gli altri, per essere uomini e donne di pace, di giustizia, di gioia, di speranza.
Non una santità aleatoria, quindi, ma una santità fatta di carne, che si vede in itinere, guardando l’esempio di Gesù, che si è incarnato ed è morto per noi, per vivere in pienezza da figli di Dio la bellezza della vita umana.
Diana Papa