Basovizza e Monrupino, Opicina e Capodistria, Podgomila e Gropada, Vines e Vifia Orizi… Sono decine le foibe, cavità carsiche a scavalco del confine che oggi collega Italia e Slovenia, dove fra l’autunno del 1943 e la primavera del ’45 trovarono la morte migliaia di persone, italiane, croate, slovene – molti ex fascisti, ma non solo -, per lo più per mano delle forze armate che avrebbero fatto da spina dorsale del regime comunista nella Jugoslavia di Tito. Gli storici hanno cercato di far luce negli ultimi 20 anni, dopo un lungo silenzio, sui fatti che portarono da una parte alla sistematica eliminazione di presunti nemici del totalitarismo che prendeva piede nei territori slavi e balcanici, dall’altra alla triste, sofferta vicenda dell’esodo giuliano-dalmata.
Dal 2004 lo Stato italiano riconosce il 10 febbraio come “Giorno del ricordo delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata”. Ciò che manca in questa ricorrenza è, semmai, una piena “coscienza europea” del dramma degli infoibamenti, della violenza cieca che mise davanti a tutto la volontà di potere e la vendetta: davanti al valore assoluto della vita umana, alle ragioni dei popoli, alla pace e alla giustizia. Se della storia europea contemporanea fanno parte – ciascuno a modo suo – Waterloo e il Romanticismo, Verdun e Auschwitz, le scoperte scientifiche e i capolavori di Picasso, la liberazione di Parigi, la Resistenza partigiana, il Muro di Berlino, il cammino ecumenico, allo stesso modo non dovrebbero mancare le foibe. Perché le foibe costituiscono un monito chiaro e perenne che dice: “Mai più la guerra”.
Di fronte a quanto accade ancora oggi in varie regioni d’Europa e del mondo, il 10 febbraio intima l’urgenza di una storia fondata sulla verità, senza rimozioni o riduzionismi, che aiuti a superare vecchi e pericolosi rancori. La necessità di una memoria condivisa che contribuisca a costruire una Europa unita, con un suo demos, pur senza rinunciare alle diversità storiche, geografiche, culturali, religiose, linguistiche che da sempre caratterizzano il vecchio Continente.
Ma il “Giorno del ricordo” nell’epoca dei nuovi e pericolosissimi nazionalismi, delle sacche di intolleranza, della diffusa xenofobia, delle discriminazioni verso chi crede o chi “diversamente crede”, è anche un richiamo a non voltare la faccia rispetto alle foibe del 2015. Se ne possono ricordare almeno due: l’Ucraina e il Mediterraneo. Terra e mare che, in questi giorni, in queste ore, inghiottono nuovamente vite umane, restituendo solo odio e cadaveri e alimentando paure, razzismo e cattiveria.
Le foibe ci furono e ci sono. La memoria, però, può aiutare a guardare avanti e a costruire la pace.