Personaggi / Aldo Braibanti, il professore delle formiche

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Aldo Braibanti

Il 17 settembre 2022, Aldo Braibanti avrebbe compiuto 100 anni, un “Genio straordinario” come lo definì Carmelo Bene. Filosofo, attivista antifascista, partigiano, poeta, autore e regista teatrale, artista a trecentosessanta gradi, naturista, esperto mirmecologo-studioso di insetti in particolare delle formiche. Professore come veniva chiamato, ma che mai ha insegnato.

Aldo Braibanti, nato a Fiorenzuola d’Arda la domenica del 17 settembre 1922. Trascorre la sua infanzia molto serena in una famiglia illuminata fuori dal pensiero autoritario e clericale. Innamorato dalla figura del padre e del suo lavoro di medico condotto, Aldo lo seguiva spesso negli spostamenti attraverso la campagna Piacentina, dove ha opportunità di scoprire il mondo naturale e la sua centralità.

Aldo Braibanti, l’uomo delle formiche

Sviluppa un pensiero radicale in tema di ecologia e salvaguardia dell’ambiente. In particolare inizia ad osservare i comportamenti ed i costumi dedli animali sociali “formiche, api e termiti”. Ancora adolescente inizia a scrivere i primi testi poetici. Incantato nei suoi studi da Dante, Carducci, Pascoli, Petrarca, Leopardi e Foscolo inizia a scrivere poesie in libertà tralasciando le rime.
Al Liceo classico Romagnosi di Parma tra il 1937-1940, dove insegnava Ferdinando Bernini, fu studente eccellente. Era il 1939 quando clandestinamente distribuisce un manifesto scritto dove invitava i compagni di classe ad organizzarsi contro la dittatura fascista. Dopo il diploma liceale si iscrive alla facoltà di Filosofia all’Università di Firenze, dove oltre che agli studi filosofici inizia a studiare in modo scientifico le formiche. Rimane particolarmente colpito dalla scoperta che le formiche regine, hanno due stomaci, uno per autoalimentarsi l’altro di sussistenza, di riserva per quante si trovassero in difficoltà.

A Firenze partecipa alla nascita dei primi movimenti di resistenza partigiana e antifascista. Successivamente entra a far parte del Partito Comunista Italiano clandestino, come lo definiva egli stesso, l’unico che portava sù il peso della classe operaia. Durante il periodo fascista è arrestato e condotto in carcere per ben due volte e subendo torture e violenze da parte delle truppe nazi-fasciste. Per poi aderire al Partito Comunista Italiano, diventando membro del comitato centrale. Per questo motivo tutti i suoi scritti fino al 1940 furono sequestrati dalle truppe delle SS italiane durante vari saccheggi nel suo appartamento e mai più ritrovati.Aldo Braibanti

Il periodo d’oro di Aldo Braibanti

Nel 1946 collaboratore del PCI in qualità di responsabile della gioventù Comunista Toscana “FGCI” organizza la festa mondiale della gioventù a Praga. Lascia definitivamente la politica attiva nel 1947, congedandosi come solo un filosofo sa fare, con una poesia dove si definiva di non essere un vero politico. Sempre 1947 inizia nel Torrione Farnese di Castell’Arquato una esperienza comunitaria con un laboratorio artistico. A questa esperienza artistica presero parte personalità della cultura nazionale come: Carmelo Bene, i fratelli Bellocchio, Renzo e Sylvano Bussotti.

Questo fu un perido florido per dedicarsi alla poesia, alla stesura e sceneggiatura di opere teatrali, l’arte plastica e figurativa non meno trascurando la filosofia e le sue teche formicai. L’interessamento alla natura lo porta in cima fra quanti intellettuali si sono interessati di Ecologia e rispetto ambientale. Troppo bello, sembrava che tutto andasse per il verso giusto.
Il professore stava seminando e raccogliendo dei frutti importanti, artisticamente parlando. Molte sue opere avevano varcato le Alpi ed avevano preso il volo per l’America e a Milano aveva partecipato alla Triennale. Ma nel 1962 finì tutto quando  l’Amministrazione comunale democristiana di Castell’Arquato, decise di non rinnovare più il contratto d’affitto del Torrione Farnese.

Aldo Braibanti e la relazione col giovane Sanfratello

Quando decise di trasferirsi a Roma nel 1962,  Braibanti andò a vivere insieme all’amico, e poi amante, Giovanni Sanfratello, un giovane ventitreenne che aveva conosciuto nel periodo di sperimentazione artistica a Castell’Arquato. Iniziò a interessarsi e a lavorare nel campo della drammaturgia, della sceneggiatura cinematografica e radiofonica, con risultati brillanti. Collaborò alla fondazione dei Quaderni Piacentini, rivista trimestrale fondata e diretta da Piergiorgio Bellocchio.

Ad interrompere il suo studio artistico un evento drammatico che segnò per sempre la sua carriera. La famiglia Sanfratello, molto credenti e conservatori, non avevano mai accettato la relazione fra i due. Così il 12 ottobre 1964 Ippolito Sanfratello presenta una denuncia alla Procura di Roma contro Braibanti con l’accusa di plagio. Un mese dopo, alcuni familiari di Giovanni fanno irruzione nella casa di Roma e portano via a forza Giovanni, rinchiudendolo in manicomio a Verona, dove resterà per quindici mesi, subendo numerosi elettroshock.

Sotto il nome di plagio l’articolo 603, che viene dopo quello dedicato al commercio degli schiavi, transitato dal codice Rocco, fascista, a quello repubblicano  è il pretesto per imbastire un processo politico, una vera e propria caccia alle streghe, voluto da una società reazionaria. D’altronde il Braibanti fu considerato un intellettuale disorganico, di tendenze anarchica ex componente del PCI, artista dagli interessi più disparati fino allo studio delle formiche.

La condanna di Aldo Braibanti e l’inizio del declino

L’imputato sembra rassegnato, anzi estraneo all’ambiente che lo circonda. Sul suo capo pende un’accusa scovata tra le pagine meno esplorate del codice penale, che colpisce duramente. Nonostante lo stesso Sanfratello avesse dichiarato più volte al processo di non essere mai stato plagiato dall’artista, il pubblico ministero non diede peso alle sue affermazioni.

E procedette nel 1968, dopo un processo durato quattro anni, alla condanna di Braibanti a nove anni di carcere,  in appello ridotti a quattro. Alla fine scontò in tutto due anni in prigione, ma solo perché gli ultimi due gli si condonarono in quanto partigiano della Resistenza. Braibanti fu il primo e per fortuna anche l’ultimo giudicato con questa legge. L’8 giugno del 1981, la Corte Costituzionale cancella il reato di plagio dal nostro Codice Penale.

Uscito di prigione, riprende il ciclo di Virulentia. Braibanti porta avanti il lavoro teatrale come un laboratorio ma presto lo abbandona per un nuovo ciclo di laboratorio teatrale.
Scrive parecchi testi di critica teatrale, della critica storica e di una rifondazione della pedagogia, ma soprattutto descrive la crisi di sviluppo che lo ha portato fuori dalla psicoanalisi classica.

Una vita in miseria

Nel 1985 scrive la sceneggiatura per alcuni film,  ripercorre la sua vita e il suo lavoro di pensatore libertario. “Libertario” è chi non si rifugia in una teoria dei “valori”, e riesce senza angoscia a rimettere sempre tutto in discussione. Nonostante una intensa attività lavorativa viveva in condizioni di miseria, e dopo quaranta anni ricevette lo sfratto dalla casa.

La senatrice Tiziana Valpiana presentò un’interrogazione parlamentare  appoggiata da buona parte del mondo culturale, per l’assegnazione di un vitalizio in base alla legge Bacchelli. Il 23 novembre 2006  il secondo governo Prodi gli concesse un vitalizio. Braibanti passa gli ultimi anni a Castell’Arquato, in gravi ristrettezze economiche e tentando di portare a termine le opere Il catalogo degli amuleti e il nuovo dizionario delle idee correnti. Muore a Castell’Arquato, all’età di 91 anni, per arresto cardiaco, il 6 aprile 2014.

Giuseppe Lagona