«Se è ben condotto, il dialogo porta a soffrire-con quelli e quelle che diversamente si farebbero soffrire, al syn-paskein; libera cioè dai paraocchi e distrugge i pregiudizi, facendo così apparire l’altro nella sua verità nuda». Queste parole del teologo canadese Jean-Marie Roger Tillard, scritte nel suo celebre testo “Dialogare per non morire” (trad. it. di F. Strazzari, Bologna 2000, p. 13) contengono un anelito tutto particolare. Quando parliamo di dialogo siamo tentati di identificarlo come la discussione tra due o più persone su un determinato tema; in realtà questo termine porta con sé il significato più ampio di relazione, nella quale è in gioco non solo un momento, ma la vita intera. Solo in questa prospettiva è possibile giungere al syn-paskein (soffrire-con) di cui parla il teologo. Quando si soffre insieme a qualcuno, vuol dire che si è condiviso tutto, anche la debolezza. Il rischio della parcellizzazione delle relazioni e dei momenti della vita purtroppo si corre anche all’interno della Chiesa che, per sua natura, dovrebbe essere maestra di relazione: spesso nutriamo l’idea che sia sufficiente entrare in relazione col Signore e con gli altri in dei momenti precisi, che poi vanno staccati dalla vita privata, dominio esclusivo del singolo, evitando il rischio di compromissioni varie. Così facendo, si annida il tarlo della formalità. Siamo stanchi di mandare avanti una Chiesa che si occupa solo della propria autoconservazione, ma povera di umanità. Se è vero che si accede a Dio attraverso l’umanità di Cristo, allora dovremmo avere il coraggio di entrare sempre più nelle fitte trame dell’umano, per comprenderne le gioie e le speranze, i dolori e le angosce (cfr. Gaudium et Spes n.1). Sia nelle piccole relazioni interpersonali che nelle macro-relazioni tra istituzioni è fondamentale mettere in gioco tutto, perdere tutto, per ottenere altrettanto, «perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16, 25).
Francesco Pio Leonardi