Cosa c’è nel futuro dell’Unione europea? Quali novità riserverà il 2024 alla “casa comune”, anno in cui i cittadini Ue saranno chiamati alle urne per rinnovare il Parlamento di Strasburgo?
Domande lecite, a fronte delle innumerevoli sfide che attendono i Ventisette e alla luce dei recenti sviluppi politici registrati a Bruxelles.
Non è nuova l’agenda di Casa Europa. La crisi demografica, le incertezze economiche ed energetiche, le guerre alle porte, il cambiamento climatico, le pressioni migratorie sono – con un elenco certamente incompleto – nella lista delle urgenze da affrontare.
Senza trascurare questioni interne come la revisione – riuscita a metà – del Patto di stabilità, il nuovo Patto asilo e migrazione (con il debole accordo raggiunto il 20 dicembre e il “no” dell’Ungheria), l’intreccio politica estera-sicurezza, la realizzazione di NextGenerationEu e i rispettivi Piani nazionali ripresa e resilienza (Pnrr).
Ugualmente importanti sono questioni come il Quadro finanziario pluriennale (in sostanza la definizione del budget dei prossimi anni) e l’invocata riforma dei Trattati che dovrebbe passare da una Convenzione che riunisca istituzioni, rappresentanti dei cittadini e delle parti sociali.
Ci si rende conto infatti che l’architettura istituzionale definita prima coi trattati istitutivi, poi con il Trattato di Lisbona del 2007, ha bisogno di essere rinfrescata e alleggerita. Basterebbe segnalare due temi a riguardo: l’abolizione dell’unanimità in Consiglio e il potere di iniziativa legislativa all’Europarlamento.
Argomenti troppo “tecnici”, si potrebbe obiettare. Si tratta, invece, di assegnare poteri adeguati e nuove competenze all’Unione europea in quegli ambiti nei quali si sperimenta ogni giorno l’“impotenza” dei singoli Stati nazionali.
Eppure ci sono governi che frenano ogni passo in avanti della stessa Ue27. Gli esiti del vertice dei capi di Stato e di governo dei giorni scorsi lo ha confermato. Revisione, fra mille ostacoli, del Patto di stabilità, rinvio del bilancio pluriennale (compresi gli aiuti per la ricostruzione dell’Ucraina), timidi passi avanti per il futuro allargamento (Ucraina, Moldova, Balcani).
Da questo punto di vista il premier ungherese Viktor Orban (ma non è il solo) si è confermato il campione del freno a mano tirato. Sì ai fondi (e dunque ai soldi) europei, no a una integrazione politica ed economica al passo coi tempi, nella direzione di un’Europa coesa ed efficiente, a sua volta protagonista della scena globale al pari dei giganti sub continentali che ben conosciamo: Cina, India, Stati Uniti, Russia, Giappone, Brasile, Nigeria… solo per fare alcuni nomi.
Il 2023 va in archivio con la speranza della pace in Ucraina, in Terra Santa e in tante regioni del mondo. Il 2024 si presenta all’Europa con una lunga lista di argomenti da affrontare nella prospettiva di una maggiore integrazione politica e sociale. Ponendo al centro delle scelte i cittadini con attese legittime e problemi quotidiani cui far fronte. Cittadini che potranno far sentire la loro voce con il voto di giugno. Un’occasione di democrazia sovranazionale – l’unica al mondo – da non lasciarsi sfuggire.
Elezioni importantissime, forse decisive per il futuro dell’Unione europea. Si tratta di sapere se prevarranno nell’emiciclo del Parlamento europeo le forze europeiste. Cioè quelle che credono a una sovranità condivisa e modulata tra Stati e Ue. Oppure i nazionalisti di varia caratura (che fomentano e scommettono sulle paure della gente). Il 2024 potrebbe chiarire i tratti dell’Europa di domani.
Gianni Borsa
Marco Calvarese