Venerdì 14 febbraio 2025, presso la Biblioteca Zelantea di Acireale, si è svolto un incontro pubblico dal nome “Autonomia differenziata: disgregazione nazionale e prospettive geopolitiche”. La presentazione del libro è stata organizzata dall’Accademia degli Zelanti e dei Dafnici in collaborazione con il Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale (MEIC). Due esperti di rilievo, il prof. Francesco Sisci, docente alla LUISS e autore del volume ‘Tramonto italiano’, e il prof. Maurizio Caserta, ordinario di Economia Politica all’Università di Catania, hanno partecipato all’evento. Al centro del dibattito, le possibili conseguenze dell’autonomia differenziata sulla coesione del Paese e sugli equilibri geopolitici.
Esposizione dei libri del prof. Francesco Sisci. Si tratta di una lettura impegnativa, poiché esplora una complessità tutt’altro che scontata, offrendo un’interpretazione alternativa rispetto a quella prevalente negli ultimi mesi sulla cosiddetta legge dell’autonomia differenziata.
Le parole di Caserta
Secondo il Professore, molti hanno partecipato a diverse occasioni di approfondimento, ma nella maggior parte dei casi l’attenzione si è concentrata su aspetti di natura prevalentemente tecnica. Nessuno, tuttavia, ha offerto un’analisi di così ampio respiro come quella contenuta in questo volume. Affrontando il tema dei conti, su cui si è soffermato a lungo, sottolinea che il calcolo è relativamente semplice. Anticipando per un momento la conclusione del ragionamento, evidenzia come, nel caso in cui il processo seguisse le regole eventualmente modificate dalla sentenza della Corte Costituzionale, emergerebbero implicazioni significative.
“Non sarà un processo in cui tutti vincono, sarà un processo in cui alcuni vincono e altri perdono. Forse non è difficile immaginare chi saranno i giocatori che perdono in questo confronto. È un’ipotesi, ma ovviamente per adesso fondata solo su un ragionamento, non su osservazioni empiriche e che a perdere sia il Sud. Uno dei modi in cui questa proposta, questa legge, è stata resa popolare, gli incendi produttivi del nord non sono più disposti a lasciare agli altri i loro soldi e quindi chiedono di trattenere quello che tecnicamente si chiama residuo fiscale e cioè la differenza tra il flusso e il gettito fiscale che quella regione genera e la spesa regionale e statale che in quella regione viene fatta”.

Autonomia differenziata, una prospettiva complessa tra efficienza e solidarietà
Nel dibattito sull’autonomia differenziata emerge una questione cruciale: il rapporto tra gettito fiscale e spesa pubblica nelle diverse regioni italiane. Alcune aree del Paese registrano entrate fiscali significativamente superiori alle risorse che ricevono, mentre altre beneficiano di trasferimenti compensativi. La narrazione tradizionale, che vede il Nord ricco finanziare il Sud più povero, viene spesso presentata in termini semplicistici, alimentando divisioni e pregiudizi.
Tuttavia, il vero nodo della questione non riguarda il residuo fiscale – un concetto volutamente assente nel testo della legge in discussione – bensì la capacità delle regioni di gestire in modo più efficiente determinate funzioni rispetto allo Stato centrale. Il principio sottostante all’autonomia differenziata sarebbe proprio questo: attribuire alle regioni competenze aggiuntive solo laddove possano garantire una gestione più efficace e meno costosa rispetto a quella statale.
Tuttavia, questa impostazione è ambigua e può essere interpretata in modi diversi. Uno dei timori è che una parte del residuo fiscale attualmente redistribuito possa rimanere nelle regioni con un saldo positivo, riducendo le risorse disponibili per le regioni più deboli. Con i vincoli finanziari imposti dall’Unione Europea, risulta difficile immaginare che lo Stato centrale possa farsi carico di questa differenza. Il rischio concreto è che a pagare il prezzo di questa redistribuzione ridotta siano proprio le regioni meridionali, con un impatto significativo sui loro bilanci.
Autonomia e centralizzazione: un equilibrio tra efficienza e coesione nazionale
Questo tema si inserisce in un dibattito più ampio sulla dimensione ottimale delle unità amministrative. Se da un lato l’autonomia può valorizzare le specificità territoriali, dall’altro esistono economie di scala che giustificano la gestione centralizzata di alcune funzioni. Tuttavia, il testo della legge non affronta questi calcoli in modo approfondito, lasciando spazio a diverse interpretazioni. Il dibattito sull’autonomia differenziata non può ridursi a una questione contabile. Infatti, richiede una riflessione più ampia sul modello di cooperazione tra le diverse aree del Paese. La chiave di volta è la fiducia: senza una visione condivisa, il rischio è quello di adottare soluzioni che privilegiano l’interesse immediato di alcune regioni a scapito della coesione nazionale.
Il passaggio del testimone al professore Scisci

Il professor Francesco Sisci ripercorre la genesi del suo libro, nato dalla sua esperienza di ritorno forzato in Italia durante la pandemia dopo decenni vissuti in Cina. Osservando il paese con occhi distaccati, ha percepito una crescente frammentazione politica e sociale. Analizza la storia dell’unità italiana, evidenziando come sia stata un risultato della geopolitica piuttosto che di un’identità consolidata. Confronta l’Italia con altre nazioni europee, sottolineando come l’unità sia stata spesso fragile e imposta da forze esterne, dagli americani nel dopoguerra alla pressione dell’Unione Europea.
Circa il tema dell’autonomia differenziata, la considera un ulteriore passo verso la disgregazione del Paese, già indebolito da divisioni regionali e tensioni economiche. L’Italia, secondo Sisci, potrebbe subire un destino simile alla dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico, mentre il peso geopolitico globale si sposta sempre più verso l’Asia. Infine, riflette sul ruolo della Chiesa Cattolica, che da secoli ha avuto un’influenza cruciale in Europa, ma che oggi deve ripensare la sua missione in un mondo sempre più centrato sull’Asia. Infatti afferma che se l’Italia si indebolisce, anche la Chiesa potrebbe trovarsi a dover rivedere la propria strategia globale.
Il suo intervento si conclude con un messaggio finale, un vero proprio monito: questi processi di trasformazione sono lenti, ma una volta giunti a un punto critico, diventano irreversibili. Resta, dunque, da porgersi una domanda. Siamo davvero consapevoli del prezzo di questa trasformazione e pronti ad affrontarne le conseguenze?
Giorgia Fichera