Colpire il portafoglio dei Paesi ritenuti ostili. Ridurre la loro capacità di esportazione e, nei fatti, favorire ciò che viene prodotto all’interno del proprio Paese. Penalizzare la concorrenza che viene dall’estero indipendentemente dalla qualità delle merci. Gratificare gran parte dei connazionali per stabilizzare, sull’emotività, il consenso politico. Sta accadendo da alcuni anni e gli ultimi dazi doganali imposti dagli Usa all’Europa sono parte di un percorso avviato con la presidenza di Donald Trump e seguito da altri.
Può stupire che la zeppa al commercio arrivi culturalmente dagli Usa che sono stati patria di internazionalizzazione e libero scambio. Anti-globalizzazione e protezionismo hanno attecchito nell’elettorato quando i fautori della libera concorrenza hanno avvertito la competizione in casa e nelle principali aree di export.
Oggi i dazi commerciali sono sostanzialmente armi di geopolitica e sono puntate soprattutto contro la Cina.
Possono essere usate o riposte per stabilire il grado di amicizia con un determinato Paese. Come tutte le armi provocano un innalzamento dello scontro, in un vortice di ritorsioni, contro-dazi, sfiducia nell’interlocutore anche quando si tenta la pacificazione.
Il contenzioso fra Usa ed Europa nasce da un ricorso statunitense al Tribunale del commercio mondiale (Wto – World Trade Organization) per i finanziamenti europei al consorzio continentale Airbus che avrebbero danneggiato la libera concorrenza e in particolare la aerospaziale statunitense Boeing. Riconosciuto il danno, gli Stati Uniti hanno acquisito la possibilità di imporre tariffe doganali per complessivi 7,5 miliardi di dollari. In un primo tempo la richiesta era stata molto più alta. Gli stessi Stati Uniti sono passibili di dazi da parte della Ue che ha già potenzialità di sanzioni per alcuni miliardi. La Ue annuncia in queste ore di voler rispondere a tono. A rischio nei prossimi mesi è il mercato dell’auto. Sono colpiti i principali Paesi europei, indipendentemente dal reale finanziamento al consorzio Airbus; all’Italia tocca una “multa” superiore al miliardo che da metà ottobre colpirà alcuni formaggi di qualità molto graditi negli Usa. Al di là dei comparti toccati, con gravi perdite in tutta la filiera di produzione e il relativo indotto, sembra si stia frantumando un modello economico di libero scambio. Che, molto spesso, ha prodotto un eccessivo spostamento di merci con sperperi ambientali ai danni di tutti (si pensi ad esempio ai voli cargo) e che, nello stesso tempo, ha favorito alcune economie locali.
Storicamente la circolazione delle flotte commerciali ha fatto girare le idee, i gusti alimentari e anche l’incontro di popoli diversi nei grandi porti.
Superata la logica delle pistole sul tavolo, ci sarebbero tutti gli spazi per trattare e ridurre i danni. L’aria che tira è però un’altra e l’avvicinarsi delle presidenziali Usa spingerà altre misure di breve periodo in economia, ad esempio imponendo alla Fed (la banca centrale Usa) tassi bassissimi e quindi un deprezzamento competitivo del dollaro per favorire l’export. Attirando le ritorsioni e spingendo comportamenti politici uguali e contrari. Un rischioso avvitamento economico in un mondo di tassi bassissimi e frontiere, fisiche e commerciali, altissime.
Paolo Zucca