“Confesso che, a proposito di tante e smisurate parole, non mi viene in mente niente. Io credo che la politica è altrove e che, prima o poi, dovrete tornarci. Noi vi aspettiamo lì”.
Potrebbero sembrare fin troppo severe le parole di Mino Martinazzoli – intellettuale, politico e ministro – pronunciate in tempi cronologicamente lontani ma per nulla lontane dal linguaggio della campagna elettorale 2018.
La cronaca ha confermato questa vicinanza rilanciando immagini, toni e stili dalle piazze delle città e della rete.
Ed è così cresciuta quella preoccupazione che faceva scrivere al filosofo Søren Kierkegaard: “La nave è ormai in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta ma ciò che mangeremo domani”.
Un’immagine che richiamava e richiama la debolezza del pensiero politico e la rarità di politici all’altezza delle sfide di un cambiamento d’epoca.
Il 5 marzo le pagine dei giornali, le trasmissioni radio-televisive, le reti dei social racconteranno le sorti dei vincitori e quelle dei vinti.
Di chi ha votato e di chi non ha votato si parlerà per alcuni giorni e poi di loro si perderà ogni traccia fino al prossimo appuntamento quando torneranno a essere considerati numeri e percentuali.
Chi risponderà alla domanda sul futuro della politica? Chi prenderà a cuore la formazione della coscienza sociale e politica dei cittadini, in particolare dei giovani? Chi parlerà a quelle persone che, titolava nei giorni scorsi un quotidiano nazionale, si sono così rivolti a un santo: “Preghiamo che ci levi dai piedi i politici”?
Si può anche sorridere, seppur con amarezza.
La domanda ritorna: ci sarà un nuovo inizio per la politica? È ancora Mino Martinazzoli a indicare una risposta.
“Ciò che oggi tiene il centro della scena e sembra dominarla – si legge nei suoi pensieri su ‘La politica possibile’ – è solo un impotente crepuscolo. Insinuare in questo artificio e in questo disordine naturalezza e coerenza, far maturare dentro il disincanto la freschezza di nuovi e generosi fermenti, senza pretendere le luci del successo e senza temere l’ombra della solitudine, questo oggi è il dovere di chi ancora crede nella politica come avventura civile. Se vale il soccorso della poesia conviene ricordare Eliot: ‘Per noi non c’è che il tentare, il resto non ci riguarda’”.
Tentare strade alternative alla rassegnata accettazione del “nulla cambierà” non è facile ma è possibile, quindi è doveroso. È un percorso culturale ed etico: il 5 marzo 2018 potrebbe segnarne un nuovo inizio, a meno che si accetti che le ombre di un crepuscolo abbiano la meglio sulle luci di un orizzonte. Non c’è che tentare.
Paolo Bustaffa