Si è concluso il 17 giugno a Loreto il corso di formazione e aggiornamento per i cappellani militari, chiamati a riflettere quest’anno sul tema della famiglia. Analizzate le difficoltà, spesso legate alle dinamiche e alle esigenze della vita militare, dei circa 350mila nuclei familiari che, nel nostro Paese, quotidianamente vivono questa realtà. Il punto sull’Ufficio per la famiglia e la vita, istituito un anno fa dall’ordinario monsignor Santo Marcianò.
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Difficoltà quotidiane. Proprio loro, i cappellani militari – nell’ambiente qualcuno li chiama scherzosamente “i preti con le stellette” -, che vivono il loro ministero condividendo “dall’interno” le vicende quotidiane della vita militare, sanno bene quali siano le difficoltà peculiari che il personale militare e le loro famiglie devono affrontare ogni giorno e quanto esse possano incidere sul loro benessere relazionale ed affettivo. Tra queste, forse, la più evidente è l’esposizione dei militari a una ripetuta “mobilità”. Trasferimenti (soprattutto nei primi dieci anni di carriera), missioni (in patria e all’estero), corsi di formazione, e1 altre incombenze professionali, spesso portano queste persone a dover stare per lunghi periodi lontani dalle proprie famiglie, con tutte le difficoltà conseguenti, tanto a livello di relazione di coppia, quanto a livello di relazione affettivo-educativa con i figli (soprattutto se piccoli). A questa sensazione prolungata di “instabilità” di vita, in alcuni casi e circostanze, si aggiunge la percezione di una sorta di “precarietà”, dovuta alla necessità di doversi esporre, anche per lunghi periodi e ripetutamente, ad effettivi rischi per la propria incolumità fisica, fino al rischio della stessa vita. Tutti elementi che, nella maggior parte dei casi, non contribuiscono certo alla serenità e alla stabilizzazione delle relazioni familiari, né allo sviluppo armonico di un progetto familiare condiviso nel quotidiano.Comando-obbedienza. Un’altra “insidia” – questa volta sul piano psicologico e comportamentale – si presenta talvolta ai militari e alle loro famiglie, come diretta conseguenza dello stile di vita militare. Uomini e donne in divisa, infatti, vivono la loro attività lavorativa in un continuo dinamismo di relazione professionale fortemente improntata al binomio “comando-obbedienza”. Una diade che da sempre ha connotato il mondo militare, anche per ovvie ragioni organizzative, soprattutto in situazioni critiche ed emergenziali. I militari, uomini e donne, di qualunque grado, vengono formati per tanto tempo a questo tipo di modello relazionale e operativo, così che dopo tanti anni esso rischia di diventare come una seconda “pelle”, un tratto “spontaneo” (sebbene acquisito) della propria personalità. Ma se questo può funzionare all’interno della vita militare, certo non può rappresentare il modello ideale per la vita familiare, tipicamente improntata all’amore e al rispetto reciproco. Talvolta, la mancata “deposizione” di questo abito professionale nelle relazioni familiari è fonte d’incomprensioni e di crisi. Di queste – come di tante altre – difficoltà peculiari che impattano la realtà delle famiglie dei militari, l’impegno pastorale dei cappellani dovrà tener conto, sforzandosi con “audacia e creatività” di trovare vie e modi di evangelizzazione adeguati a tale contesto.
dall’inviato Sir a Loreto, Maurizio Calipari