Così “vede” il sacerdote di oggi don Giacomo Panizza, fondatore della Comunità Progetto Sud in Calabria. Alla prima comunità di disabili ai quali ha restituito visibilità sociale, si sono aggiunte mille altre iniziative. “La mafia è solo un ‘ostacolo’, anche se pesante, che ci rallenta e che perciò occorre rimuovere; ma la nostra ‘dolce ossessione’ devono sempre essere le persone con i loro bisogni”.
Una giornata a toccare con mano un pezzetto di Vangelo fatto “carne”. È quella trascorsa con don Giacomo Panizza, fondatore e attuale presidente della Comunità Progetto Sud, a Lamezia Terme (Catanzaro). Don Giacomo, 67 anni, bresciano, ha iniziato questa esperienza 38 anni fa, nel 1976, quando un gruppo di disabili di Lamezia lo contatta nella Comunità di Capo D’Arco (Fermo), chiedendo accoglienza e assistenza. In quegli anni, infatti, i portatori di handicap nel territorio lametino possono contare solo sull’eventuale aiuto familiare, in assenza di strutture di sostegno pubbliche e in un clima di esclusione sociale, di carenze sanitarie, ma soprattutto di una sub-cultura strisciante per la quale il disabile tendenzialmente resta “nascosto” a casa, quasi fosse una presenza imbarazzante per gli altri. E spesso, anche le persone con handicap, rassegnate, trovano più facile reputarsi “pensionati a vita, al di là dell’età, piuttosto che potenziali lavoratori e cittadini a pieno titolo”. La risposta di don Giacomo a quel bisogno è inaspettata: “Vengo io da voi in Calabria per un po’ di tempo e, insieme, proviamo a costruire là una soluzione”.
Mille ostacoli. Arriva così a Lamezia e, dopo un primo periodo di dure “battaglie”’ per superare resistenze locali forti e ostinate (ostacoli culturali, burocratici, economici e persino ecclesiali), alla fine ottiene dal Comune l’uso di un asilo abbandonato e fatiscente. Sarà la prima casa famiglia della Comunità Progetto Sud, dove don Giacomo e una quindicina di disabili, col sostegno di alcuni volontari, si organizzano per vivere in autogestione. Doveva fermarsi in Calabria solo 5 anni, come concordato col suo vescovo di allora, ma dopo 38 anni don Giacomo è ancora là, insieme ai suoi compagni di viaggio disabili, che ora però non stanno più “nascosti” in casa a commiserarsi, ma sono diventati con lui animatori e protagonisti attivi di tanti progetti di promozione umana e sociale, a livello locale, nazionale ed internazionale, in nome del Vangelo. A loro, in questi anni, si sono aggiunte tante altre persone in difficoltà.
Una “comunità di comunità”. “Non ho mai progettato nulla a tavolino – dice don Giacomo – ogni iniziativa è nata nella nostra comunità come tentativo di risposta concreta ad un bisogno concreto che ha ‘bussato alla nostra porta’ o che abbiamo incontrato per strada. Di fronte ad ogni richiesta di aiuto ci siamo domandati: che possiamo fare per migliorare questa situazione? E ci siamo messi in gioco”. E oggi Progetto Sud è diventata una “comunità di comunità”, una rete sociale che conta varie strutture (case famiglia, centri di accoglienza, comunità terapeutiche, centri di riabilitazione, cooperative sociali, centri culturali e di formazione, ecc…) e che porta avanti svariate attività assistenziali (disabilità fisiche e psichiche, tossicodipendenze, Aids) e sociali (accoglienza per persone in difficoltà, immigrati e profughi, integrazione dei rom, economia etica, produzione di servizi sociali, produzione di lavoro, ecc…). Una particolare attenzione poi è riservata alle iniziative di educazione alla legalità e promozione dei diritti sociali, in una terra strangolata dalla mafia.
Le minacce di morte della mafia. Don Giacomo e le sua comunità hanno dovuto fare i conti anche con questa dura realtà, subendo vari attentati. Anche a motivo dell’affidamento a Progetto Sud, da parte delle autorità, di alcuni edifici sequestrati alle famiglie mafiose del territorio e ora tramutati in luoghi (e contemporaneamente “simboli”) di promozione e riscatto sociale. Da qualche anno, in seguito ad esplicite minacce di morte, don Giacomo ha dovuto accettare la protezione di una scorta da parte della polizia. “Don Giacomo, – gli chiediamo mentre mostra i fori di proiettile esplosi contro la porta di una delle case della comunità come gesto d’intimidazione – ma allora è la mafia il vero problema della vostra attività?”, “Assolutamente no – risponde – la mafia è solo un ‘ostacolo’, anche se pesante, che ci rallenta e che perciò occorre rimuovere; ma la nostra ‘dolce ossessione’ devono sempre essere le persone con i loro bisogni, la realizzazione del bene comune”.
I frutti pastorali. C’è un’altra cosa che stupisce di questo sacerdote, quasi settantenne e con ormai tanti frutti pastorali di cui ringraziare Dio: dopo tanti anni appare sempre desto e attento ad eventuali bisogni emergenti. Inevitabile la domanda: “Ma non ti sei ancora stancato d’inventare risposte ai bisogni delle gente? Quante ne dovrai realizzare ancora?” e lui, con un certo pudore, risponde, con un versetto del Vangelo “…finché ne vollero” (Gv. 6,11).
Con gli asini in Paradiso. A conclusione della giornata trascorsa insieme, nasce spontaneo rivolgere a don Giacomo un ultimo interrogativo: di che tipo di sacerdote ha più bisogno oggi la nostra società? E lui, con semplicità disarmante, sorridendo: “Non saprei dare una risposta in assoluto, ma forse… dovrebbe essere molto simile ad un ‘asino’!”. “In che senso?”, e lui ci mette sotto gli occhi una poesia di Francis Jammes, intitolata “Preghiera per andare con gli asini in Paradiso”. Eccone il testo: “Quando dovrò venire a Te, mio Dio […] dirò ai miei amici asini: venite dolci amici del cielo sereno […] Fra questi animali voglio comparire al Tuo cospetto […] Arriverò seguito dalla loro miriade di orecchie, seguito da quelli che portano ceste sui fianchi, da quelli che trascinano carrozzoni di saltimbanchi o carrozzelle di piumini e di metallo, da quelli che portano sul dorso bidoni ammaccati. Asine pregne come otri, dalla traballante andatura, da quelli a cui si infilano piccole brache per celare le piaghe livide e infette dalle mosche ostinate che si radunano a grappoli […] Mio Dio fa che con questi asini io giunga a Te, fa che nella pace, angeli ci conducano verso gli erbosi ruscelli che riflettono tremule ciliege, lisce come la pelle ridente di fanciulle. E fa che in questo soggiorno di anime, chino sulle Tue Acque divine, io sia simile agli asini che specchieranno la loro umile, dolce povertà nella limpidezza dell’eterno amore”. Grazie don Giacomo, “prete asino”.
Maurizio Calipari