A Roma il 46° convegno nazionale del Seac, il Coordinamento di enti e associazioni di volontariato penitenziario che opera dal 1967. Tema dell’incontro “I costi del carcere”, non solo quelli a carico della comunità (2800 milioni di euro), ma anche quelli umani di chi nelle celle deve vivere in condizioni talvolta difficilissime. In diminuzione i suicidi. Lenta descrescita della popolazione carceraria.
Per ogni detenuto – sono 64.333 oggi in Italia – lo Stato spende ogni giorno una media di 100-120 euro, di cui 4 euro per i tre pasti quotidiani e meno di 20 centesimi per le attività rieducative. Sui 2800 milioni di euro assegnati ogni anno dallo Stato al Dipartimento amministrazione penitenziaria, l’85% sono spese fisse per mantenere 200 istituti e 45 mila dipendenti. Il solo istituto penitenziario di Regina Coeli, a Roma, costa ogni anno 11 milioni di euro per interventi di manutenzione ordinaria, senza contare le ristrutturazioni straordinarie, arrivate fino a 21 milioni di euro. Negli ultimi dieci anni sono stati spesi per Regina Coeli circa 110 milioni di euro. E non sono solo i costi economici a pesare sul mondo del carcere. I costi “umani”, tra condizioni invivibili, malasanità, peggioramento della salute, atti di autolesionismo, violenze, suicidi, sono ancora più alti. Se ne è parlato stamattina a Roma, proprio dietro le grate dello storico carcere di Regina Coeli, ricavato da un antico convento del ‘600 che affaccia sul Tevere. Ad organizzare la due giorni è il Seac, il Coordinamento di enti e associazioni di volontariato penitenziario che opera dal 1967 ed è qui riunito per il 46° convegno nazionale intitolato, appunto, “I costi del carcere”. Numeri e riflessioni appassionate a distanza di un mese dal messaggio alle Camere del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in merito alla questione carceraria, dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che richiama l’Italia, entro un anno, a garantire condizioni di vita dignitose ai detenuti italiani.
Quali sono i costi umani del carcere? “Ci dovremo chiedere quanti e quali siano i costi umani del carcere, quando la pena prende non solo la libertà della persona, ma spesso anche la sua salute e talvolta la sua vita”, ha detto la presidente del Seac Luisa Prodi, aprendo l’incontro. “Per essere un vero investimento e produrre utili – ha sottolineato -, la pena detentiva dovrebbe restituire alla società libera persone capaci di vivere nella collettività secondo le regole”, solo così “la pena produrrebbe sicurezza”. Altrimenti il carcere rischia di “produrre un aumento del potenziale criminogeno, con effetti sulla società libera, illusoriamente convinta di stare al sicuro avendo chiuso in cella i delinquenti”. Prodi ha ricordato, come esempio, il costante calo di opportunità lavorative all’interno del carcere e la bassa percentuale di detenuti studenti che concludono il ciclo di studi. Inoltre, mentre vengono spesi tanti soldi per la gestione complessiva, spesso i volontari devono fornire sussidi in denaro, vestiario e scarpe, prodotti per l’igiene personale e l’ambiente, per ovviare alle enormi carenze.
Un “call center” per le situazioni più gravi. Il capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino, parlando con “ragionevole ottimismo”, ha elencato molte cifre, precisando che l’85% sono spese fisse: per cui, anche se grazie ad amnistia e indulto uscissero dal carcere 20mila persone, “i costi non si ridurrebbero”. Tamburino ha illustrato il “piano edilizia” che ha portato alla costruzione di 3 nuovi istituti e 2000 nuovi posti per ovviare al problema del sovraffollamento (con l’obiettivo di arrivare a 50mila posti complessivi), facendo notare la diminuzione di detenuti: nel 2010 erano 69mila, ora 64.333, una diminuzione settimanale di 100 unità. “A questo ritmo potremo scendere sotto la soglia dei 60mila in pochi mesi”, ha detto, “ma c’è ancora una differenza da sanare”. Tamburino ha citato anche la diminuzione dei suicidi (42 nel 2013, rispetto ai 60 del 2012, dal dossier “Morire di carcere: 2000-2013” della rivista “Ristretti orizzonti”), dei fenomeni di autolesionismo e aggressività. E ha auspicato un “call center” per segnalare le situazioni più gravi che riguardano i detenuti.
Amnistia e indulto. 110 milioni di euro in 10 anni spesi per l’istituto di Regina Coeli: sono alcuni dei numeri forniti da Riccardo Arena, di Radio Radicale, che ha auspicato l’approvazione di una legge “intelligente” su amnistia e indulto, per “far uscire le 20mila persone più meritevoli, ossia non in base al tipo di reati”. E per chi ha commesso reati economici, ha suggerito di prevedere “forme di restituzione del maltolto”. Per Ornella Favero, direttrice della rivista del carcere di Padova “Ristretti orizzonti” serve una riflessione seria su come prevenire i suicidi, portare i temi del carcere “fuori”, per farne comprendere la complessità alla società. A proposito di una eventuale linea telefonica per segnalare i casi più drammatici Favero ha chiesto “trasparenza e risposte serie”, perché “alle persone vengano riconosciuti i diritti. Non basta la compassione”.
La proposte dei detenuti. Interessanti le proposte fatte da alcuni detenuti, una sorta di “spending review” per rivedere i costi del carcere: anziché spendere 100 milioni di euro per un contratto di fornitura decennale di fornitura di braccialetti elettronici – “ma sembra siano stati autorizzati solo una decina di detenuti”, hanno detto – o far eseguire a ditte esterne la manutenzione, i detenuti hanno suggerito di affidare loro i lavori di manutenzione, idraulica, elettricità, metalmeccanica e artigianato, risparmiando e favorendo così il reinserimento sociale. Padre Vittorio Trani, il cappellano che segue 1.100 detenuti di Regina Coeli, ha infatti ribadito al Sir che “il costo più alto che si paga in carcere è la spoliazione della dignità e il marchio che rimane per tutta la vita”: “Dobbiamo rivedere i costi per spenderli in modo umano, perché alle persone venga restituita la dignità”.
Patrizia Caiffa