Stranamente, in occasione dell’anniversario dell’assassinio del grande deputato socialista Giacomo Matteotti, si registra da più parti quasi una smania nel definire la figura e la vita dell’uomo politico socialista attraverso un preliminare molto frettoloso. Caratterizzato, questo, dalla riduzione della valenza storica eccezionale dell’ultimo intervento in Parlamento, il 30 maggio 1924. Con il quale “… aveva attaccato il governo di Mussolini, reo di aver perpetrato brogli elettorali di ogni tipo, non esclusa la coercizione, la sottrazione di schede e loro contraffazione. Insomma: elezioni illegali, assolutamente da rifare, perché truffaldine. Ma non fu per questa accusa, pur supportata da prove inoppugnabili, che fu ammazzato. Dietro c’era molto di più e di peggio…”.
La questione di un affare di corruzione che riguardava Mussolini in persona e tutto il suo contesto politico fa emergere una serie di distorsioni e di “semplificazioni” che non fanno giustizia dell’immenso valore dell’uomo politico e della persona di Giacomo Matteotti. Trascurandone, sorvolando quasi, i tratti nettissimi di anticipatore (“capofila ideale di una un lunga catena che porta alla Costituzione“, come lo ha definito Liliana Segre).
L’assassinio di Matteotti
Anche l’ipotesi supportata di “omicidio preterintenzionale“ concorre a questa smania. Matteotti fu ucciso da una squadraccia di assassini capitanati da Amerigo Dumini, uomo di Mussolini, polizia politica Ceka, suo assiduo frequentatore. Ove fosse necessario, sta a dimostrarlo la grande quantità di macchie di sangue di cui era ricoperto l’interno dell’auto, sulla quale viaggiava Matteotti. E anche la chiara forma di ferita da oggetto appuntito riscontrata nel torace.
Questa sorta di corsa alla puntualizzazione deriva dal fatto che Matteotti, nel mese di aprile del 1924, si recò a Londra, in gran segreto (dato il ritiro del passaporto) e discusse con i dirigenti socialisti anche di due questioni che erano da tempo all’attenzione del governo fascista: la legalizzazione delle case da gioco e la convenzione con la compagnia petrolifera americana Sinclair Oil.
Matteotti lo affermò esplicitamente in un articolo che apparve postumo, nel luglio 1924, sulla rivista English Life. «Noi siamo già a conoscenza – scriveva – di molte gravi irregolarità riguardanti questa concessione. Alti funzionari possono essere accusati di ignobile corruzione e del più vergognoso peculato».
Matteotti, però, non ne fece affatto una questione preminente nella sua lotta al fascismo, che era di natura assai più composita, articolata, diuturna e indefessa. Anzi lui avrebbe avuto tutto l’interesse a non rigettare con forza l’esito delle elezioni per giocare la sua carta documentale in sicura sottotraccia.
Matteotti antifascista
Quel 30 maggio 1924 appare limpidissima la sua principale consapevolezza di uomo politico. Nelle elezioni del 6 aprile, infatti, il partito socialista unitario aveva ottenuto un’ottima affermazione, grazie a tutte le più importanti città dove meno aveva potuto la caccia all’uomo fascista, come Milano, risultando primo fra tutti i partiti di opposizione.
Ma, consapevole che i collaborazionisti di ogni schieramento non erano ancora definitivamente neutralizzati, anche in considerazione del successo ottenuto dal «listone» governativo, per rintuzzarne i tentativi trasformistici bisognava alzare ancora di più il livello dello scontro con il governo fascista.
Il discorso parlamentare si svolge in una più alta dimensione squisitamente politica. Infatti, in quel che semplicisticamente e riduttivamente si definisce denuncia di brogli, è contenuta la summa, da un lato, della sua esemplare percezione del fascismo, visto come regime nascente e della cancellazione di ogni forma di democrazia liberale. E, dall’altro, della necessità di includere la maggior parte della borghesia illuminata con il mezzo del socialismo democratico, graduale, radicale ma non rivoluzionario nel senso del nascente bolscevismo totalitario.
Il fascismo fu la risposta violenta della borghesia ai propri interessi lesi dai nuovi patti agrari. Una lotta coerentemente condotta dal proletariato, svincolato dallo slogan della sua “dittatura”, in difesa delle istituzioni democratiche, avrebbe potuto rappresentare, a suo avviso, il collante di un’alleanza tra movimento socialista e settori non trascurabili dei ceti medi e della borghesia democratica.
L’enorme grandezza della percezione politica di Matteotti sta in quel discorso durante il quale egli resistette come una roccia, elencando, una ad una, tutte le prerogative della natura della Democrazia liberale calpestate e soffocate, il cui rispetto e salvaguardia ineludibili consentivano lo sviluppo pacifico.
Sviluppo combattivo, sì, ma non violento e dittatoriale, di un socialismo sempre più vasto e condiviso, mentre i liberali (Amendola)erano presenti, in silenzio, così come i comunisti (Gramsci)e i popolari (Sturzo), rivendicandone una concezione di base imprescindibile che egli, assai originalmente, riusciva a coniugare con le forme e i valori del sindacalismo e delle leghe fortemente azioniste, senza le tragiche connotazioni del comunismo terzinternazionalista.
Rosario Patanè