Non è facile analizzare politicamente a caldo e con animo sereno, quanto accaduto a Butler, in Pennsylvania, senza prima aver preso in attenta visione il contesto in cui i fatti sono avvenuti. Per fortuna, e per un vero miracolo, l’ex Presidente ed attuale candidato repubblicano alle Presidenziali di quest’anno, Donald Trump, è uscito quasi del tutto indenne dai colpi di pistola dell’attentatore, il ventenne Thomas Matthew Crooks, subito dopo catturato ed ucciso. Dunque, la violenza cieca, irrazionale e criminale ha fatto ancora una volta irruzione nella storia americana e, particolarmente, in una competizione elettorale molto importante e significativa per il futuro della Nazione e, di riflesso, per tutti gli altri Paesi del Mondo.
La violenza nella storia americana
La storia della Nazione americana è in effetti costellata da una concatenazione di fatti storici caratterizzati, purtroppo, dalla regola dell’uso delle armi. Con la violenza, infatti, all’inizio della storia del Paese, i nativi americani furono defraudati del possesso dei loro territori. E messi nelle condizioni o di accettare l’emarginazione sociale, confinati in pochi ettari di terreno, oppure essere uccisi (Indiani Sioux). Poi sopravvenne un’altra necessità. Di cosa si trattò?
I Founding Fathers, cioè per meglio dire tutti coloro che organizzarono la resistenza ai coloni inglesi, operavano con le armi. E per concludere, la Guerra di Secessione americana provocò la guerra civile contrapponendo il Nord ed il Sud del Paese. La storia americana, dunque, sin dalle sue origini, narra di violenza e di conseguente ricorso alle armi.
La violenza politica
Nel 1865, il grande Presidente repubblicano Abraham Lincoln riuscì a pacificare il Paese, già martoriato dalla guerra civile. Ma fu proprio questo fatto che lo trasformò in un bersaglio. Perché era diventato pacificatore col suo carisma e questo, evidentemente, non venne accettato. Questo episodio, intanto, dimostra la peculiarità di un certo modo di vedere e pensare americano. Così si passò dalla violenza “necessitata”, cioè quantomeno dettata da motivi attinenti alla formazione dello Stato-Nazione, alla violenza invece mirata contro le Istituzioni. E, da Abraham Lincoln in poi, assistiamo alla catena dei delitti politici dei Presidenti degli Stati Uniti. Tutti vittime di armi da fuoco (Lincoln, Garfield, McKinley e Kennedy).
Le motivazioni dirette ed indirette della violenza politica
Se ne potrebbero elencare numerosi. Per brevità, ne indichiamo uno che ci sembra evidente. È un dato di fatto che tanto nel 1963 quanto nel 1968, sia il Presidente John Fitzgerald Kennedy che il Senatore Robert Francis Kennedy erano alla vigilia di una svolta importante per quanto riguardava la guerra nel Vietnam: entrambi stavano mettendo in atto la strategia del ritiro dal conflitto. È chiaro che, alla peculiarità del sistema militare americano, quel fatto dava evidentemente fastidio. E quindi, i due fratelli furono uccisi alla vigilia di quegli importanti avvenimenti. E rispettivamente, l’uno mentre era in corsa per la rielezione, l’altro mentre era in corsa per la nomination del Partito democratico.
Ed a questo punto, le analogie con quanto accaduto a Trump, poche ore fa, sono evidenti. Perché? Perché l’ex Presidente e candidato alla rielezione si è fatto propugnatore della pacificazione nella guerra in corso con l’Ucraina. E lo ha affermato con convinzione, con forza, con tutta la sua carismatica personalità. Ieri col Vietnam, oggi con l’Ucraina, le analogie sono poste nelle posizioni politiche di Donald Trump, preso inequivocabilmente a bersaglio.
Il clima e gli errori politici in cui è maturato l’attentato
Negli ultimi giorni che hanno preceduto l’avverarsi di questo gravissimo crimine, abbiamo assistito alla formazione di alcuni fatti politici che certamente potevano provocare in specifiche personalità quantomeno instabili, l’auto-convincimento che fosse lecito ricorrere alle armi.
Quali possono essere stati allora questi fatti politici? Essenzialmente due.
L’eccesso critico, proveniente dall’interno del suo stesso partito contro il presidente Biden da un lato, e le decisioni prese all’interno del Consiglio Atlantico della NATO. L’eccesso critico nei confronti del presidente Biden sembra evidente, sia che provenga dal lato dei mass media, sia che derivi da iniziative dei suoi parlamentari.
È infatti quantomeno irrituale dal punto di vista politico, ma è soprattutto una scorrettezza istituzionale vera e propria che si sottoponga il presidente in carica a pressioni per ritirarsi dalla corsa alla Casa Bianca prima della Convenzione del suo partito. Essa è infatti l’unico organo abilitato a decidere sulla sua candidatura. È un vero e proprio sgarbo istituzionale che non è possibile motivare con errori, gaffes o dimenticanze perché sono cose normali che possono capitare a chiunque. Ed, eventualmente, anzi, potrebbero renderlo persino più simpatico in quanto più umano. Quindi non bisognava esasperare la lotta politica in questo momento così delicato in cui si attende l’esito delle Convenzioni dei due partiti, adducendo a pretesto un possibile ritardo nei sondaggi di Biden rispetto a Trump. Dato che, infatti, esasperare una lotta politica, con motivi pretestuosi, può risultare estremamente pericoloso.
L’esasperazione del conflitto Russo-Ucraino
L’altro motivo che ha arroventato la competizione in corso tra i due candidati in questi giorni che hanno preceduto questa gravissima violenza, è stata l’impronta che il Segretario Generale della NATO Stoltenberg ha voluto dare al Vertice dell’Alleanza Occidentale, celebratosi a Washington. Su questo terreno si è voluto impostare tutto sulla necessità di procedere ad una nuova corsa agli armamenti motivata con il conflitto Russo-Ucraino. Cioè, in pratica, al Vertice è avvenuta ancora una volta l’esasperazione del conflitto ed, ancora una volta si è disattesa la proposta di Mosca di sospendere ogni invio di armi all’Ucraina ed avviare il negoziato.
È logico che alla Russia di Putin non si possa mai e poi mai chiedere – con significato costruttivo – il semplice ritiro delle truppe. Il ritiro delle truppe dovrà essere il punto d’arrivo del negoziato che riconosca alla Russia altre aspettative in termini di sicurezza. Quindi, il vertice NATO non ha fatto altro che esasperare un conflitto che può cessare da un momento all’altro a patto che ci sia la volontà occidentale di farlo cessare.
Reazione immediata di Trump
L’accaduto non ha scalfito la determinazione e lo spirito battagliero di Trump. Emblematica è l’immagine del pugno chiuso proprio mentre lo sfiorava il proiettile che avrebbe ferito l’orecchio destro. Il suo commento successivo all’accaduto è stato il seguente: “ Non mollo! Salverò gli Stati Uniti!”. Non tarda ad arrivare, alla Convention del partito Repubblicano a Milwaukee (Wisconsin), la scelta da parte dello stesso Trump, del senatore statunitense J.D. Vance come candidato alla vice presidenza degli Stati Uniti. Chiaro segnale di un impegno che continua nonostante le intemperanze mentali di qualche sprovveduto attentatore.
Le esasperazioni politiche armano le mani di persone non equilibrate. E neppure giusto è stato il fatto di aver sovraesposto Donald Trump in una competizione politica solo perché il candidato repubblicano ed ex Presidente ha sempre perseguito la via della pace.
Sebastiano Catalano
Giovanna Fortunato