In questo “Quotidiano” proviamo ad andare oltre la biografia di Gianroberto Casaleggio, scomparso a soli 61 anni, andando al cuore del suo pensiero e cercando di trovarvi un giusto equilibrio, almeno per quello che ci attiene in quanto addetti della comunicazione. Co-fondatore e “regista” del Movimento 5 stelle, esperto di comunicazione e marketing, si è detto molto in appena 48 ore dalla sua scomparsa, forse perché mentre era in vita non se n’é parlato abbastanza e questo, come è facile intuire, perché Casaleggio non amava il palcoscenico e, in antitesi rispetto al suo socio e amico Beppe Grillo, diffidava dalle telecamere. Le volte in cui è apparso in televisione si possono contare sulle punte delle dita: l’ultima volta nella trasmissione Ballarò, quando c’era ancora il governo Letta. Casaleggio, di certo, ha rappresentato l’idea di una comunicazione imperniata sulla cultura digitale, in un Paese però diversamente digitale, meno che per gli attivisti del Movimento 5 stelle. Emblematico è il suo ultimo libro dal titolo “Veni, vidi, web” che si occupa di web nelle sue diverse forme applicate alla realtà e ne preconizza la sua diffusione universale. L’incipit del libro è quello che lo ha spinto 12 anni fa a fondare la Casaleggio associati: sviluppare una cultura della rete. “Internet non si sta più affiancando ai cosiddetti mainstream, ai telegiornali e alle televisioni, ma li sta lentamente sostituendo”. Così diceva parlando dello sviluppo dell’informazione on-line. Una previsione che si avvicina a quella dell’americano Philip Meyer secondo cui la carta stampata scomparirà entro il 2043. A queste tesi è facile rispondere con le parole di Umberto Eco che sottolineava come nessun mezzo di comunicazione ha mai soppiantato altri mezzi e come, al di là dell’impatto originario, tra di essi si è instaurata una positiva alleanza. Non è forse preminente, specie in questa sede, protendere per una tesi piuttosto che per un’altra. Su un dato è possibile concordare: l’agorà della rete si sta allargando e sta diventando sempre più complessa. In questa complessità occorrerà usare tutta la professionalità, la libertà e l’autonomia possibile per poterla “spiegare” cercando di non alterare la realtà dei fatti. Per il momento, tutto questo, risulta una sfida per il mondo di internet. In un giornale o in un qualsiasi mainstream il rapporto è di uno versus gli altri. Su internet, e questo soprattutto sui social, il rapporto si capovolge, travolgendo le ragioni e i motivi di chi fa giornalismo in modo serio. La questione, allora, non è chi vincerà la competizione tra i new media e gli old media – cioè tra nuovi e vecchi – ma di come sapremo fare comunicazione per gli altri e con gli altri.
Domenico Strano