Delle ripercussioni finanziarie, delle migliaia di lavoratori che sono in bilico (tra cui i 2mila funzionari inglesi che lavorano negli uffici di Strasburgo e Bruxelles), delle risonanze politiche che già si avvertono e che potrebbero acutizzarsi con gli altri attori extra-europei, su questi argomenti sui media di tutto il mondo impazzano analisi, commenti e opinioni. Non per nostalgia, non per rassegnazione ma convinti che non è ancora arrivata l’ora per sancire l’epopea dell’Unione Europea noi vogliamo, invece, all’interno di questo “Quotidiano” speciale, ri-sentire la voce di alcuni grandi protagonisti della storia europea per ritrovare la bussola e ri-orientarci sulla strada del “bene comune”. Partiamo da casa nostra con Alcide De Gasperi. Sia prima che dopo il 23 giugno avrebbe sicuramente affermato che “se noi costruiremo soltanto amministrazioni comuni, senza una volontà politica superiore vivificata da un organismo centrale, nel quale le volontà nazionali si incontrino, si precisino e si animino in una sintesi superiore, rischieremo che questa attività europea appaia, al confronto della vitalità nazionale particolare, senza calore, senza vita ideale” (Strasburgo, 12 gennaio 1951). Rileggendole potremmo per un attimo protendere per un “leave” ma dopo aver ri-ascoltato le parole di Winston Churchill pronunciate settant’anni fa riacquistiamo consapevolezza del senso pieno del “remain”: “Dobbiamo ricostruire la famiglia dei popoli europei in una struttura regionale che potremmo chiamare Stati Uniti d’Europa, e il primo passo pratico consisterà nella creazione di un Consiglio d’Europa. Se, all’inizio, non tutti gli Stati d’Europa vorranno o saranno in grado di partecipare all’unione, dobbiamo ciò nonostante andare avanti e congiungere e unire gli Stati che vogliono e che possono”. Da De Gasperi riassaporiamo qui sentimenti di europeismo con i quali lo statista permise al nostro Paese di attraversare gli anni di grande incertezza del secondo dopoguerra verso il progetto unitario dell’Europa. Si tratta di quegli stessi sentimenti che ancor prima il primo ministro britannico (1940-45 e 1951-55), ha invocato a margine di un suo discorso del 19 settembre 1946 (noto discorso sulla creazione degli “Stati Uniti d’Europa”). Anche in Churchill era chiaro che solo un’Europa unita potesse garantire la pace. Non saranno macerie, come quelle di Emil Cioran, ma l’uscita della Gran Bretagna rappresenta sicuramente una profonda lesione strutturale. “Confido che la nuova Europa possa nascere lunedì a Berlino. Sennò l’Europa finisce”. Se Romano Prodi addirittura tra le pagine de “La Stampa” invoca una nuova Europa, beh, la ristrutturazione della casa nostra, così come ha definito l’Europa il premier Matteo Renzi, è più che mai urgente.
Domenico Strano