“Non abbiamo ancora finito”, “stato d’emergenza per tre mesi”, “nessuno può darci lezioni”. Sono solo alcune delle affermazione del presidente turco Recep Tayyp Erdogan in diretta su Al Jazeera a margine del consiglio di sicurezza nazionale di ieri. Con degli occhi intrisi di rancore, uno sguardo che sa di sfida all’Europa, con la sua solita espressione marmorea che non tradisce mai e le mani ben ancorate al leggio (come a dire, da qui non mi schiodate), il “sultano” Erdogan con il suo discorso invita i cittadini turchi a restare sereni perché dalla democrazia parlamentare “non ce ne allontaneremo mai”. Sul punto che più divide la Turchia e l’Europea il presidente è stato fulminante: “Per 53 anni abbiamo bussato alle porte dell’Unione europea e ci hanno lasciato fuori, mentre altri entravano. Se il popolo decide per la pena di morte, e il Parlamento la vota, io la approverò”. I risultati sono già prevedibili: l’Akp, il partito di Erdogan, detiene la maggioranza in parlamento. Con l’epurazione continua del virus in tutti i comparti della società turca e la forza politica in parlamento, il consenso del popolo e il rancore che quest’ultimo matura giorno dopo giorno, la Turchia butta nel cestino 53 anni di trattative dicendo tutt’altro che addio all’Europa. La Turchia geograficamente resta dov’è, cioè alle porte del vecchio continente, come un pugnale conficcato al suo fianco già sofferente per le note vicende di politica interne (Brexit, immigrazione, sicurezza). Ma è sulla parte del “noi fuori e gli altri dentro” che si configurano scenari raccapriccianti se non addirittura possibili ritorsioni. Se consideriamo che l’Europa è del tutto disattenta (o forse impreparata), qualche noto giornalista ha persino detto che “dorme”, è chiaro che per Erdogan è tutto più facile. E il presidente ha persino un asso nella manica che vale 6 miliardi di euro: sono ben lontane oramai le rassicurazioni impartire dal presidente del consiglio europeo Donald Tusk e della cancelliera tedesca Angela Merkel quando consegnarono al presidente Erdogan la missione di bloccare l’ondata migratoria, affermando che la Turchia dovesse fungere da modello per l’Europa. Quello che va configurandosi però è tutt’altro che un Paese modello: esecuzioni capitali, sentenze sommarie, governo autocratico. Bisogna evitare, allora, un punto di non ritorno perché a quel punto potremmo solo scegliere se ignorare i diritti umani e le vite calpestate dal presidente turco o misurarci con una nuova invasione di disperati pronti a mettere piede in Grecia e a risalire nel cuore dell’Europa.
Domenico Strano