La Sicilia cade a pezzi. Si sbriciola come il pane quotidiano. E questo trascina con sé una serie di eventi che mettono in ginocchio i suoi abitanti. E così, neanche il tempo di tornare alla normalità, Messina questa mattina si è svegliata di nuovo senza una goccia d’acqua. Siamo nel XXI secolo, eppure tutto questo accade. La tubatura dell’acquedotto di Fiumefreddo, che aveva lasciato a secco nei giorni scorsi i messinesi, ha subito ancora dei danni a causa di un cedimento. I tecnici promettono di fare presto. Gli eventi di questi giorni ci raccontano un territorio martoriato e abusato. Non sono casi isolati le frane verificatesi in questo mese e che hanno comportato la chiusura dell’autostrada Catania – Messina. Non è casuale lo smottamento che ha costretto alla chiusura il castello di Calatabiano. Non è un segreto, il fatto che sopra Giampilieri, messa duramente in ginocchio con l’alluvione del 2009, i costoni faticano a stento a trattenere la condotta idrica che d’un tratto svanisce e si perde, fino ad arrivare a mare. Un paradosso. Tutti questi fatti sono dei pezzi di puzzle che messi insieme ci danno un’immagine di una Sicilia che affonda, come ha dichiarato il vescovo di Acireale mons. Antonino Raspanti, adesso amministratore apostolico della diocesi messinese. Il referendum del 2011 ha declamato che l’acqua in Sicilia debba essere un bene pubblico primario. Ma è ancora clamorosamente in mano ai privati. L’ingegnere Nino Galatà che si occupò di costruire nel 1965 il tanto discusso acquedotto dell’Alcantara ha raccontato al Corriere che ad “accaparrarsi l’impianto una volta terminato fu un ente regionale fallito, l’Eas, poi la società Sicilia Acque, ma imponendo prezzi astronomici al Comune di Messina che, sbagliando, mollò quel bene prezioso. E oggi l’acqua si perde”. Bene, non occorre aggiungere altro. Solo pretendere che a quelle mega infrastrutture, che tanto scaldano gli interessi di politici e non solo, si scelgano quelle essenziali (acquedotti sicuri e funzionanti, appunto) per poter vivere in una Paese normale e civile.
Domenico Strano